Un esempio concreto di Etica applicata all’Economia: serve che le classi dirigenti attivino, tramite il miglioramento delle norme in materia di accoglienza\integrazione, una seria, condivisa, responsabile e controllata politica di integrazione, scolarizzazione\formazione dei migranti che approdano sul territorio del Paese, nell’ottica umanitaria di utilizzi lavorativi, correttamente retribuiti e controllati ed inoltre quale antidoto alla denatalità nazionale.
Prima di inoltrarsi nei meandri della divisiva diatriba sul tema dell’’immigrazione è indispensabile rendere noti ai lettori di queste pagine i numeri riguardanti temi e problemi connessi. I numeri sono i seguenti, aggiornati da ISTAT, al 31 Ottobre 2022.
Nessuna nazione europea raggiunge il cosiddetto “tasso di sostituzione”, stabilito dagli esperti di demografia nel 2,1 figli per abitante donna; l’Italia, in tema di tasso di fecondità, si trova nel gruppo di coda dei 27, con il suo, in decrescita, da 1,46 ad 1,25 figli per abitante donna.
In Italia, ogni 100 abitanti ci sono 11,6 stranieri abitanti nei capoluoghi di provincia; 7,5 stranieri abitanti in tutti gli altri comuni; volendo esaminare le macro aree, gli abitanti stranieri del Centro Nord rappresentano l’11% del totale degli abitanti; gli abitanti stranieri nel Mezzogiorno rappresentano il 4,4 % della popolazione e sono in crescita. Questo perché a causa della minor presenza di economia manifatturiera il Mezzogiorno, in 10 anni, ha perso circa 525.000 abitanti.
Senza inserire nel calcolo gli scambi migratori, l’Italia, dando seguito ad un trend che parte da lontano, perderebbe 400.000 abitanti anno; solo parzialmente, compensati da un saldo migratorio in entrata nel nostro Paese che si valuta, alla fine dell’anno, raggiunga le 230.000 unità; presupponendo che sia questa la quota di immigrarti che permane in Italia, il saldo negativo dell’anno 2022 ammonterebbe a circa 170.000 abitanti.
Un elemento importante da considerare: nel quadriennio 2019\2022, il Mezzogiorno ha perso, in valore percentuale, il 2,4% della sua popolazione, contro l’!% del Centro Nord;
Considerando i dati disponibili del quadriennio 2019\2022, al netto del saldo migratorio, l’Italia ha perso 950.000 abitanti; se non si considerassero le dinamiche migratorie, le perdite ammonterebbero a 1.600.000 abitanti.
L’ONU, in una recente pubblicazione[1], afferma addirittura che “la sola leva (“demografica”, nota di chi scrive) sulla quale potranno contare i Paesi a reddito elevato è l’immigrazione”, essendo quella delle nascite, da almeno dieci anni, difficile da realizzare e in evidente controtendenza.
Stante questi numeri, stante la coesistenza delle due condizioni sociali (denatalità ed aumento consolidato della vita media), bisognerebbe partire dalla considerazione che gli immigrati (purché correttamente gestiti al momento del loro ingresso in Italia in termini di accoglienza e di politiche attive in funzione di educazione, istruzione), debbano rappresentare un’ipotesi di soluzione e non il problema.
Infatti, la considerazione riferita dell’ONU riguarda soprattutto l’Italia, Paese con la più bassa natalità all’interno dell’Unione Europea ed uno con il più basso numero di figli per abitante donna, che significa soltanto circa 400.000 nascite all’anno, dando luogo al fenomeno soprannominato “inverno demografico”; la conseguenza: una popolazione che diminuisce di numero, a causa dei decessi annualmente vicini al doppio del numero delle nascite e cheregistra l’aumento dell’età media della vita.
Se questa fosse la fotografia della situazione attuale, come pare che sia, l’Italia potrebbe sperare che gli effetti dei trend siano sostenibili nel medio periodo solo se il saldo del movimento migratorio fosse positivo con 200.000\250.000 immigrati per anno, e composto, quanto più possibile, da giovani e donne.
Questo l’obiettivo che la buona politica dovrebbe proporsi per raggiungere due obiettivi:
– non fare scendere il numero degli abitanti sotto l’attuale consistenza, in ottica di sostenibilità di sistema;
– mantenere sostenibile il sistema pensionistico in presenza di una popolazione che invecchia e di un numero congruo di lavoratori che deve mantenerla.
Occorre mettere da parte gli apriorismi identitari ed aprirsi al concetto di programmazione dell’immigrazione finalizzata ai risultati desiderati: tramite politiche connotate da sensibilità umana e conoscenze tecniche e, ovviamente, risorse proporzionate; propugnare integrazione scolastica, culturale, economica di chi entra nel nostro Paese; pensare ad una distribuzione compatibile su tutto il territorio nazionale, con sguardo attento alle opportunità, con l’attenzione al Mezzogiorno ed alle sue specificità.
Ed ecco, allora, che sentir dire a componenti del Governo che bisogna investire risorse in paesi dell’Africa mediterranea per favorire l’occupazione di quei territori non può che preoccupare. Logica vorrebbe che gli stessi stanziamenti fossero destinati, invece, a misure destinate all’accoglienza, all’accudimento, all’istruzione e alla formazione di futuri cittadini italiani, i quali accettando consapevolmente un contesto di diritti e di doveri, compiano un percorso che li conduca ad condividere migliori condizioni di qualità della vita a fronte di legalità ed operosità.
In questa ottica, gli istituti quali lo Jus Soli, integrante lo Jus Sanguinis e lo Jus Scholae, dovrebbero essere portati dal Governo all’attenzione del Parlamento nell’ambito del miglioramento dei percorsi di integrazione previsti dai Decreti Legge dell’anno 2020 in materia di accoglienza, quali contributo all’equilibrio demografico. In tutta evidenza, si propone un cambio di paradigma.
Per cercare di risolvere la carenza di offerta di personale tecnico specializzato in ruoli qualificati che le imprese del Nord cercano e non trovano (anche perché chi ritiene di avere maturato conoscenze e capacità per farlo, emigra verso mercati ove qualità della vita ed i compensi sono più soddisfacenti rispetto a molti di quelli italiani), una ulteriore ipotesi di soluzione potrebbe essere rappresentata dalla creazione di canali di immigrazione qualificata; le imprese potrebbero e dovrebbero integrare al loro interno la formazione di persone che arrivino con buone basi, sapendo che la disponibilità di capitale umano è condizione indispensabile per la crescita.
Un esempio: la posa della fibra funzionale alla diffusione del 5G, infrastruttura indispensabile perché l’Italia viva, lavori, produca e prosperi è oggi frenata dalla mancanza di circa 16.000 operai in grado di svolgere questo compito.
Si tratta, allora, di ingegnarsi a trovare le soluzioni e farle accettare anche a chi, pregiudizialmente, non sarebbe d’accordo oppure di rassegnarsi all’ineludibile, altrimenti chiamato “decrescita felice”.
Massimo Maniscalco
[1] World Population Prospects2022. Summaryof Results.