Ci si potrebbe chiedere, al momento in cui il rigido inverno delle steppe ha pressoché paralizzato la feroce guerra che si combatte lungo il confine russo-ucraino pre-1954, se gli strali che, a partire dall’autunno dell’anno appena giunto a termine, sono stati rivolti da Varsavia contro la Germania del Cancelliere Scholz siano davvero tanto pesanti e gravi quanto si dice.
E la risposta, soprattutto per il significato simbolico di quegli strali, non può che essere allarmante. Non tanto per i due soggetti politici in questione, che al momento non corrono alcun rischio di guerra, ma per l’Europa nel suo insieme. E soprattutto per il grande e generoso progetto politico europeista che – come ebbe a constatare lo stesso Altiero Spinelli già ai primi anni ’70 del secolo scorso – ha finito per essere affidato alla burocrazia di Bruxelles, più che ai popoli del “piccolo capo” che dall’Asia si sporge verso occidente.
Pesante e grave al punto di lasciar increduli risulta il fatto che il governo di Varsavia si sia spinto, da qualche mese a questa parte, sino a chiedere a Berlino, dopo ottantatré anni dalla rottura della pace in Europa, il rimborso dei danni per la guerra scatenata dai nazisti, e dai loro complici russi, contro la fragile Polonia della fine degli anni trenta. Una richiesta peraltro irrealizzabile, dato che somma implicata ammonterebbe a circa il doppio del prodotto interno lordo della Polonia. Ma un indubitabile segno del “carattere paranoico” – per riprendere la celebre formula di Richard Hofstadter – della lotta politica in Polonia, dato che l’opposizione, guidata dall’europeista Donald Tusk è stata obtorto collo costretta a sostanzialmente piegarsi.
In questa ennesima conseguenza della guerra d’Ucraina, in questo improvviso aumento della temperatura misurata da quel “termometro” est-europeo che è la Polonia, ci potrebbe però essere anche dell’altro. Ci potrebbe essere un riflesso del fatto che forse, nel Vecchio Continente, in aggiunta al minorato Stato successore dell’Urss, la Federazione russa, si possa cominciare a pensare che esista un altro paese “troppo piccolo per svolgere un ruolo mondiale, ma troppo grande, ingombrante ed iperattivo per il quadro europeo”. E che questo paese sia la Germania. Che è poi il paese che ha originariamente ispirato questo concetto.
Solo tre giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, non solo gli osservatori abituali degli sviluppi politici internazionali avevano infatti cominciato a scorgere qualche inequivocabile segno che induceva a pensare come anche la Germania avesse deciso di volgere lo sguardo verso il passato, così come una Polonia, improvvisamente memore dei danni subiti nella Seconda Guerra Mondiale, era tornata a guardare la propria storia.
Lo si è fortemente avvertito quando, il 27 febbraio 2022, il neo-Cancelliere tedesco Olaf Scholz, in un discorso per molti aspetti insolito di fronte al Parlamento tedesco, ha presentato a sorpresa i nuovi obiettivi di politica estera del paese di cui egli è alla guida. Dopo aver definito l’invasione dell’Ucraina come la causa di una Zeitenwende, una svolta epocale, non solo nella storia europea bensì in quella mondiale, Scholz ha infatti diffusamente parlato soprattutto del nuovo ruolo militare del proprio Paese. E a questo fine, egli ha annunciato un massiccio aumento della spesa per la difesa, rompendo con la scelta fatta dalla Germania di Bonn nella fase conclusiva della guerra fredda, di non dare sostegno alle forze armate dell’alleanza se non ben al di sotto del 2% richiesto dagli alleati della Nato. Al tempo stesso, ha però annunziato anche lo stanziamento di 100 miliardi di euro da spendere per le forze armate, ma al di fuori del bilancio nato. Una decisione, questa, che nel giro di pochissimi anni farà della Germania la quarta potenza mondo per spesa militare, dopo Usa, Cina e Russia.
Sotto il profilo politico internazionale, ciò significa soprattutto che, come conseguenza della guerra d’Ucraina (o forse solo prendendola a pretesto) la Germania di Scholz ha abbandonato la dottrina ufficialmente assunta dopo la Guerra Fredda relativamente ai rapporti con il mondo russo; dottrina che si riassumeva nello slogan propagandistico (Wandel durch Handel). Di favorirne la crescita, l’occidentalizzazione, e l’integrazione “grazie al commercio”. Una politica che si è peraltro dimostrata estremamente conveniente per gli ambienti tedeschi del business e per le aziende grandi divoratrici di energia.
I forti rapporti commerciali stabiliti tra Russia e Germania grazie a questa linea politica erano facilmente riusciti nel 2014 a sopravvivere allo scossone provocato in Europa centro-orientale dalla “rivoluzione colorata” di Maidan e alla conseguente annessione russa della Crimea. Ma ciò non è stato più possibile di fronte alle negative conseguenze che la guerra ucraina sta avendo per la Russia.
Se lo slogan del Wandel durch Handel ha perciò dovuto essere rapidamente abbandonato, non è detto però che ne debba scomparire anche il concetto, o almeno l’ispirazione. Nel senso che Berlino, sempre come conseguenza della guerra ucraina, ha visto diventare grandissimo il già preminente interesse a sviluppare un nuovo rapporto di questo tipo non più nel ristretto àmbito europeo, bensì in un quadro mondiale. Non più nei confronti della Russia, bensì con la Cina, i cui legami con l’economia tedesca sono ormai molto più importanti, soprattutto assai più diversificati, di quelli che la Germania riunificata sia mai riuscita a stabilire con Mosca. E neanche ad immaginare, dopo la violenta eliminazione di Herrhausen, fatto a pezzi da una bomba appena ventuno giorni dopo la caduta del Muro di Berlino.
Ed è questo ormai un elemento da prendere in attenta considerazione nell’analisi delle conseguenze della guerra d’Ucraina. Tanto più in presenza, come accade attualmente, di non trascurabili segnali di una evoluzione della questione di Taiwan. Segnali che fanno pensare ad una possibile ripetizione dello schema diplomatico e militare già visto in Ucraina sino al 2021, e che ha portato alla tragica decisione di Putin di lanciare la cosiddetta “operazione speciale”.
Per quanto riguarda l’Europa, Scholz ha certo sottolineato il sostegno della Germania alla Unione Europea, affermando anzi che il vecchio continente rimane “il nostro quadro d’azione”, Ma senza diffondersi sull’argomento. Il che deve indubbiamente suonare come un messaggio per gli Europei, perché non pensino – dopo i disastri e i dissensi provocati nel quadro continentale dalla guerra d’Ucraina, e dopo l’ascesa di Berlino ad un rango militare capace di farla pesare nella nuova Guerra Fredda mondiale ormai promessa per i prossimi anni – di essersi sbarazzati della Germania, così come Francia ed Inghilterra ebbero ragione di pensare all’epoca della tarda espansione coloniale, quando Bismark mostrò il proprio disinteresse dicendo che, era ”la Russia, l’Africa dalla Germania”.
Giuseppe Sacco