Esattamente un anno fa si andava alle urne per vederne uscire la vittoria di Giorgia Meloni.
Ancora devono essere approfondite bene le cause di quello che era, sì, un risultato scontato, ma che non tutti si aspettavano nelle proporzioni poi espresse dalle urne. E non si tratta solamente di una considerazione di natura elettorale perché gli esperti in materia avevano già ampiamente preannunciato una disparità netta in termini di seggi parlamentari.
La riflessione, e forse molta documentazione, soprattutto quella riservata, lo dirà alle prossime generazioni tra qualche tempo e, magari, favorirà il nascere dell’ennesima teoria complottista ( e si potrebbe ironicamente questa volta ritenerla ironicamente credibile) sull’esistenza di un piano scientificamente studiato a tavolino … per perdere. Studiato e messo in atto, ovviamente, da parte della sinistra. In effetti, si arrivò a quel 25 settembre 2022 a seguito di una ridda di ripensamenti, alleanze impostate e poi fatte cadere, coalizioni inopinatamente naufragate per le quali si pensò bene di non organizzare neppure quella cosiddetta “desistenza” che, probabilmente, se non sarebbe servita a rovesciare il risultato finale, avrebbe finito certamente per ridimensionare il divario tra i due schieramenti contrapposti.
A quelle elezioni, tra l’altro, si arrivò con tanto richiamo e tante promesse al mondo cattolico (CLICCA QUI).
Oggi, come in occasione di tanti anniversari, saremmo costretti ad azzardare un giudizio. Ma non è facile. Completo e dettagliato è sicuramente al di là delle nostre modeste forze e competenze. Tanti sarebbero, infatti, gli ambiti da esaminare e da porre sotto una seria lente d’ingrandimento. La difficoltà più grande, però, viene dal profondo iato che abbiamo constatato esistere tra le dichiarazioni e i risultati concreti. Giorgia Meloni e i suoi alleati, consapevoli dei magri risultati conseguibili, infatti, continuano a chiederci di attendere la conclusione del loro ciclo quinquennale di legislatura. Il guaio è che il loro continuo rimando ad un periodo più lungo, ai loro occhi finisce per togliere validità a qualunque giudizio divergente.
Però, qualcosa lo si può già dire ad appena il 20% del percorso intrapreso. Intanto, che non è cambiato nulla per ciò che riguarda il comportamento politico istituzionale. Nonostante goda di un’ampia maggioranza parlamentare, il Governo, che semmai ha accentuato il carattere verticistico e dirigista, continua ad andare avanti a colpi di decreti legge e di voti di fiducia.
Inoltre, non si tratta di riferirci ai tanti dietrofront oramai conclamati della Meloni che segnano la distanza siderale tra la Presidente del Consiglio di oggi e la barricadiera capopopolo che, a lungo con il suo neonato partito, è stata costantemente all’opposizione negli ultimi anni, non peritandosi di farlo anche nei confronti degli “solidi” alleati di oggi Salvini e Forza Italia.
Sembra evidente che un elemento importante da sottolineare, di natura di cultura politica ed istituzionale, sia quello sulla assoluta mancante riflessione su una strutturale mancanza di rappresentatività che deriva dall’aver visto partecipi al voto meno del 50% degli aventi diritto, tra astenuti, voto bianco e schede nulle. E questa carenza di rappresentatività è ancora più grave per due ordini di problemi.
Il primo, è quello legato all’ambizione di voler operare una vera e propria trasformazione, persino culturale, del Paese come i vari ideologhi che ha di contorno, ideologhi alla Sangiuliano per intenderci, ci hanno anticipato e continuano a raccontarci tutti i giorni.
La seconda, è che già quest’anno si è rivelato come periodo difficile economicamente e socialmente e, purtroppo, ci attendono solamente le famose “lacrime e sangue”.
L’atteggiamento della Meloni, e di molti suoi sodali, ha ulteriormente diviso il paese. Che lo è, a maggior ragione, anche dopo l’impegno di “conquista” evidentemente in atto nell’editoria, nella Rai, nei vertici delle aziende di stato. Ma quelle “lacrime e sangue” devono essere affrontate tutti assieme. E non bastano gli ammiccamenti ai popolari mentre veleggia con Orban e con i Vox. Come non basta il “voltafaccia” a favore degli americani in materia di guerra d’Ucraina. Non bastano neppure le formali, e mai da prendere sul serio, pacche sulle spalle scambiate con le altre e gli altri leader internazionali. Le difficoltà con Francia, Germania, Commissione europea e Tunisia già prese da sole sono in grado di dirla tutta. Per non parlare poi delle altre difficoltà connesse all’applicazione del Pnrr, a ciò che ci porta l’inflazione e all’esplosione dei costi dell’energia.
Tutte questioni con cui dobbiamo fare i conti. Ma i conti non ce li devono fare solo il Governo e la maggioranza Meloni. Siamo tutti noi italiani a dover assumere, con realismo, e possibilmente definendo una progettualità di sviluppo, una nuova postura. Che non è quella di essere e di sentirsi tutti i giorni in una campagna elettorale senza fine.
Ecco, per andare al sodo, ovviamente non dimenticando le tante critiche meritate che giungono dal mondo del lavoro, da lavoratori e imprese, quest’anno dalle elezioni si è rivelato un periodo di ancora più gravi incertezze ed insicurezze. E a poco ci serve avere la conferma che, a breve, ci troveremo ancora più divisi su proposte come il Presidenzialismo, nel frattempo diventato Premierato, come se fossero la stessa cosa, e l’Autonomia differenziata. Insomma, il primo anno della Meloni a Palazzo Chigi, per quanto disastroso sia stato, rischia di dare la stura ad uno successivo ancora peggiore.
Giancarlo Infante