Con questi versi, Metastasio canta l’ araba fenice: “…..che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. In fondo, la stessa cosa si potrebbe sostenere circa quella possibile ripresa di iniziativa politica dei cattolici di cui, da più parti, si discute, in modo più aperto, più insistito e più convinto dopo le recenti elezioni politiche ed in vista delle prossime “europee”. L’ araba fenice è il mitico uccello che rinasce dalle proprie ceneri ed è dunque simbolo della capacità di sopportare cadute e sventure, per poi riassumere, nelle forme appropriate, il carattere, il sembiante e, soprattutto l’ identità che sembrava irrimediabilmente compromessa.
Anche la vicenda dei cattolici oscilla tra evanescenza e resilienza, in una partita che, per quanto giocata su un campo quasi impraticabile, è tuttora aperta, né può rimanere tale a tempo indefinito. Va chiarita, insomma – supplementari compresi – nell’ arco temporale che ci separa dal prossimo mese di giugno, quando dalle urne uscirà la fisionomia di un nuovo Parlamento Europeo, ad un tempo, riflesso degli equilibri politici interni di ciascun Paese membro ed, ancor più, fattore che tali equilibri condiziona o per consolidarli o per metterli in discussione.
Ad ogni modo, forse per la prima volta – ed, in ogni caso, mai come oggi – la consultazione europea, le alleanze che ne seguiranno non si pongono più, per le politiche nazionali, come una sorta di variabile indipendente, bensì assumono un valore di orientamento incontestabile. Si tratta di un crinale che pone questioni cui i cattolici non possono sottrarsi. Devono decidere se accontentarsi ancora delle “cipolle d’Egitto” che, dall’ una e dall’altra parte, concedono i due schieramenti del bipolarismo maggioritario. O se, al contrario, vogliono finalmente, dopo decenni di vassallaggio, riscattare la loro peculiarità culturale, la loro dignità, la loro storia, la loro autonomia politica.
Qui sta il punto: “autonomia” come, fin dal primo vagito del partito ed, anzi, gia’ dai giorni della sua gestazione,
INSIEME propone.
Non per chiudersi in una postura autoreferenziale che non avrebbe senso, ma piuttosto concorrere, da soggetto politico fortemente radicato nell’ispirazione cristiana, ad alleanze cui si sappiano recare valori ed indirizzi che, specialmente per quanto concerne la difesa della democrazia parlamentare e rappresentativa, così come la configura la Costituzione repubblicana, vanno assunti in modo intransigente.
Il nostro non è più, se mai lo sia stato, tempo di “diaspora” da riassorbire, di “piattaforme popolari” da varare, di corse al “centro”, piuttosto che riscoperta del “moderatismo”. Così non si va da nessuna parte. Le rimasticature di ciò che è stato non aprono nessuna strada per il nostro domani. I cattolici hanno avuto un ruolo importante quando, anziché cantarsela e suonarsela tra loro, hanno saputo proporre una prospettiva non ai loro correligionari, ma all’ intero Paese. E questo vale anche oggi.
Dato per scontato il pluralismo politico dei cattolici, resta, per i credenti l’obbligo morale di verificare la legittimità del proprio orientamento in riferimento a quei valori di fratellanza e di solidarietà, di giustizia sociale e di libertà, di rispetto integrale della vita, in ogni fase del suo decorso ed in ogni forma, in cui si sostanza quella fattuale e concreta centralità della persona, a sua volta manifestazione di “carità politica”.
L’ ispirazione cristiana in politica è cosa terribilmente seria, impegnativa e severa. Solo a pronunciarne l’ intenzione di assume una responsabilità da far tremare i polsi, eppure da qualche parte è pur necessario riprendere il filo della matassa. Nulla ha a che vedere, in questa fase, con la rincorsa di un consenso ancora immaturo, in vista della conquista di qualche pur necessario ruolo di potere.
Ai cattolici, in questo momento di transizione e di “trasformazione”, compete, in primo luogo, il “pensare politicamente”, cioè la costruzione di una visione che, nel solco della cultura cattolico-democratica e popolare, sappia indicare l’orizzonte di una nuova possibile speranza di crescita umana ed integrale, piuttosto che meramente economica.
Il compito è oggettivamente gravoso, ma questo oggi compete ai credenti. Se non ce la fanno, meglio lasciar perdere, piuttosto che impegnare una gloriosa tradizione di pensiero e di diffusa cultura politica, in operazioni subordinate, surrogati di un compito cui non si sa come corrispondere.
Domenico Galbiati