Il Belpaese delle innumerevoli emergenze si conferma tale, fino alla noia o disperazione: da quella sanitaria alla disoccupazione in certe aree del Mezzogiorno, dagli incendi boschivi alla lotta alla criminalità organizzata (siamo già alla quarta mafia!), dal dissesto idrogeologico a quello ad esso collegato, cioè idrico. Ma non è dato sapere, ovviamente, al comune cittadino se tutto ciò dipenda soltanto ed esclusivamente dal fato, dal “destino cinico e baro” oppure se ci siano responsabilità pesanti, che reclamano giustizia, sia a livello di autorità di Governo/Parlamento, sia della vasta mappa di organismi centrali e regionali, commissioni “ad hoc”, istituti di ricerca e universitari.
Chi ha avuto modo di accostarsi al tema dei danni “catastrofali” per ragioni professionali, come il sottoscritto, in costanza di un incarico di prima fascia al Dipartimento della Protezione civile, sa bene che il problema dell’acqua è secolare ed in continua evoluzione: ad esempio quello della “sitibonda Apulia” fu risolto solo poco più di un secolo fa grazie ad una serie di fattori favorevoli per cui si riuscì a far pendere il petrolio blu dall’alta Irpinia fino al Salento, pur avendo un pendio molto scarso; e grazie ad alcuni politici baresi, alla guida dei quali c’era il deputato cerignolano e ministro del Regno, Pavoncelli, che istituì il Consorzio per l’Acquedotto pugliese (allora il più esteso al mondo, oggi d’Europa).
Si tratta, quindi, di una questione nazionale della storia contemporanea che interessa ed investe il senso di responsabilità di ciascuno di noi, classe dirigente pubblica e privata (intellettuali, ambientalisti ed esperti), istituzioni della Repubblica, scienziati, educatori: l’acqua come bene che è parte del sistema idrico ed economico, di carattere “fisico complesso” (come ci insegna il prof. Ing. Carlo Lotti), riguardando tanto l’efficace funzionamento tecnico, quanto il suo utilizzo a fini economici o domestici; bene primario che dev’esser (avrebbe dovuto da tempo!) la priorità assoluta di una corretta politica di governo del territorio e delle acque, oggetto di pianificazione dello studio e degli interventi a tutela dal dissesto idrogeologico e da eventi (ex) eccezionali come le piene o la siccità. In Italia, però, manca detta capacità di responsabilizzarsi anche a causa di un ambientalismo superficiale, carrierista e “usa e getta” nel senso che lo “sport nazionale” è quello di redigere stupefacenti Report annuali o fare l’elenco delle spiagge accreditate come “bandiera blu”, operazioni utili economicamente a chi ne è l’artefice piuttosto che alla popolazione o alla stessa autorità preposta per materia.
Va un po’ meglio, ultimamente, per il mondo scolastico e accademico che, peraltro, non riesce ad interagire reciprocamente, né all’esterno con il variegato associazionismo che agisce sotto i tanti campanili della penisola e insulare. E stendiamo generosamente un manto pietoso sul Ministero della Transizione ecologica e soprattutto sul suo titolare che non riescono ad esprimere un governance degna di comprensione, affidabilità e capace di programmare organicamente azioni preventive e di contenimento del riscaldamento climatico, dell’inquinamento e a favore della sostenibilità in modo in equivoco.
Più specificamente si attende, impazientemente, una direttiva che disponga criteri certi e regole chiare in ordine a: A) gestione privata dell’acqua/bene pubblico, sì da rendere omogeneo e garantito il servizio pubblico da parte delle migliaia di società di acquedotti; B) nuove infrastrutture di invasi e dighe per la salvaguardia dell’agricoltura; C) iniziative per l’introduzione di nuove tecnologie e della telematica ai fini del contenimento della dispersione lungo il tragitto degli impianti idrici e per il risparmio di consumo che siano vincolanti ed efficaci, avvalendosi del prezioso ruolo del CNR, non abbastanza valorizzato.
Giustamente “Civiltà cattolica” (la più antica rivista) denunzia: “il grido dell’acqua è il grido dei poveri”, quanto di più vero! Mentre la domanda globale cresce dell’uno per cento annuo, la scempiaggine umana tiene testa – leggasi in primis il consumismo cinese e statunitense – sottovalutando l’esigenza, ormai indifferibile, dell’eliminazione del superfluo e della riduzione dei consumi energetici, individuali e globali, fattori connessi allo scioglimento dei ghiacciai secolari ed al cambiamento climatico irreversibile.
Tra tutte le emergenze che condizionano da decenni la vita nazionale quella idrica impone, più che mai, di ispirarci ad una sorta di pietra filosofale che sia l’amore per il creato e perciò il rispetto di sora acqua, secondo l’insegnamento di San Francesco, Patrono d’Italia, sperando che si arrivi finalmente a decisioni dell’autorità governativa che siano illuminate, immediatamente operative e programmaticamente sostenibili, quindi autorevoli ed epiche, sì che potremo ringraziare Iddio anche per questo “miracolo” politico.
Michele Marino