Con la legge spacca-Italia sull’autonomia differenziata, in Parlamento, hanno avuto la meglio le pulsioni nordiste. Si tratta di una vera picconata all’unità nazionale, capace di allontanare sempre di più l’Italia dallo spirito federalista che, invece, dovrebbe informare il compimento del processo di integrazione europea.
Su questa testata, è arrivato forte e chiaro il messaggio dell’On. Enrico La Loggia, oggi componente del Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (CLEP). Mentre tutto scorre, prendono forma gli “indicatori differenziali” che considerano il basso costo della vita al Sud come un vantaggio rispetto ad altre aree del Paese. Questa teoria, insensata e bislacca, ignora le gravi carenze di servizi e infrastrutture nel Mezzogiorno e non rispetta il principio costituzionale di ridurre le disuguaglianze. Se verranno adottati per definire i Lep, tali parametri cristallizzeranno le disparità esistenti, invece di affrontarle. Inoltre, potrebbero essere il preludio di gabbie salariali e dunque di Lep “differenziati”, che incideranno geograficamente sulla compartecipazione al gettito fiscale, a svantaggio dei territori già esposti alla deprivazione sociale. Sono d’accordo con La Loggia quando afferma che, bisogna andare oltre i Lep e ragionare sulla formula dei Lup: Livelli universali di prestazioni.
In attesa di definire ed individuare le risorse per i Lep (le stime della Svimez parlano di 80-100 miliardi di euro per colmare i divari), vanno avanti in tempi record i negoziati delle intese regionali per le materie “non Lep”. Questo zelo fa evincere, in chiaro, tutto il carattere speculativo di questa riforma, contraria al principio solidaristico impresso nella Costituzione Italiana e nei Trattati dell’Unione Europea.
Ragioniamo ora sui benefici di una politica della coesione territoriale che mira alla distribuzione equa delle risorse. Sono stati fatti faticosi passi in avanti per il superamento della spesa storica e per migliorare la spesa dei fondi strutturali europei e nazionali a favore del Mezzogiorno. Tutti gli addetti ai lavori sanno, con evidenza scientifica, che: ogni investimento nelle regioni meno sviluppate, riduce le disparità all’interno del Paese e ha un impatto maggiore sul PIL nazionale rispetto ad investimenti prodotti in aree già sviluppate. L’autonomia differenziata, invece, su questo punto, va’ in direzione ostinata e contraria.
Dobbiamo dire con chiarezza che, se le condizioni di partenza dei territori più disagiati, non vengono modificate garantendo pari opportunità e perequazione, il concetto di merito usato strumentalmente da questa riforma è una truffa. Da ex Parlamentare della Repubblica degli ultimi 10 anni e già Sottosegretario di Stato del Governo Draghi, sono stata testimone attiva di molte azioni politiche che hanno sventato le incursioni a favore di un’autonomia-scellerata che -va detto- ha promotori politici in ogni partito e movimenti presenti oggi in Parlamento. Ora, però, credo che anche i più possibilisti fautori di un ampliamento delle autonomie territoriali, si rendano conto che questa riforma Calderoli, diventata legge, rischia di far accelerare quei processi di desertificazione economica e spopolamento già avviati in alcuni territori.
Se è vero che esiste una “lobby del Veneto” pro-autonomia, ormai non credo che basti solo una lobby del Sud per contrastarla, ma sarebbe comunque una buona notizia. Ci sono terreni di scontro nei quali ci si infanga, altri troppo complicati per essere percepiti o assimilati con facilità. Quindi non è facile esercitare un sano pressing verso i decisori politici. Chiunque però abbia compreso le ripercussioni della legge 86/2024, non può esimersi dal puntellare i dibattiti in ogni sede. L’Associazione Ex Parlamentari della Repubblica, per esempio, da oltre un anno, organizza confronti sulle riforme in atto, sia a Roma che nelle regioni. Mi auguro che Roberto Occhiuto, Presidente della mia regione, la Calabria, possa promuovere dalla sua autorevole postazione istituzionale anche una postura più intransigente all’interno del suo partito politico. Forza Italia in Parlamento è quel partito, moderato e di Governo, che può farsi carico di fermare la pallina che corre sul piano inclinato. Il bullismo ideologico di certe maggioranze può essere calmierato soltanto da forze moderate. In Italia ne abbiamo disperatamente bisogno. Altrimenti saremo condannati a sperimentare, ancora, il multiforme mondo dei populismi, che troverà nuovi modi per manifestarsi. Lo stiamo già vedendo nella deriva ideologica della cultura woke: da un lato, i liberali che annaspano vicini alla destra nazional populista e dall’altro i progressisti, gaudenti verso la sinistra illiberale. Se in Italia esistesse una vera politica di centro, di cultura viva della mediazione, allora si potrebbe pensare ad una riforma sulle autonomie territoriali con autentico approccio federalista, imperniato sul principio di sussidiarietà e sulle politiche di perequazione. La spinta leghista, non a caso, fa presa sui fallimenti del centralismo di Stato. Penso per esempio al tema dei commissariamenti dei sistemi sanitari regionali che, nell’ultimo decennio, hanno manifestato tutta l’inadeguatezza dei loro meccanismi contorti. Ma ciò non basta a legittimare una riforma spacca-Italia che, anzi, va contrastata con grande vigore ed intelligenza politica.
Dalila Nesci
Pubblicato su Il Quotidiano del Sud