L’antropologa Margaret Mead ha scritto: sapete qual è il primo segno di civiltà? quello di un femore rotto e poi guarito. Guarito, perché qualcuno si è preso cura di te. Credo convintamente che questo sia il nostro lavoro, il nostro scenario di riferimento in cui agire, la politica della Cura.
Con Stefano Zamagni abbiamo condiviso lo scorso 21 giugno questi concetti. Parliamo di pari opportunità quindi in termini di “Capacitazione”. Capacitazione traduce il termine inglese “capability” usato per sintetizzare due condizioni basilari affinché una persona possa essere e fare, ovvero le capacità e l’agibilità. Nella teoria del premio Nobel Amarthya Sen, le capacitazioni sono un tassello per costruire una misura del benessere alternativa al Pil, perché alla dimensione economica permettono di aggiungere la libertà, la qualità della vita, la giustizia.
Spiega Sen che «questo spostamento è rilevante anche in relazione ad altre questioni quali la scelta dei criteri per stabilire l’esistenza di stati di privazione o povertà, ovvero, se considerare la povertà in termini di basso reddito (una carenza di risorse) oppure in termini di insufficiente libertà di condurre esistenze adeguate (una carenza di capacità)». Pertanto la crescita dei beni e il miglioramento dei servizi non sono i fini, semmai mezzi che sostengono le persone nella realizzazione dei propri progetti e nel perseguimento dei propri valori.
Gli interventi di contrasto alla povertà e alle diseguaglianze per essere efficaci dovrebbero considerare sia le capacità delle persone, cioè le loro possibilità di conseguire un obiettivo, sia l’agibilità, cioè l’esistenza delle condizioni per concretizzarle: non è sufficiente essere potenzialmente in grado di fare qualcosa, se poi non sussistono le condizioni per realizzarle.
Capacità e agibilità devono stare insieme: qualsiasi misura di politica sociale, che sia un’erogazione monetaria o sia un servizio organizzato, dovrebbe promuovere le persone e non limitarsi a soddisfare un bisogno.
Qui si colloca il nostro pensiero: siamo all’interno di un welfare corresponsabile e promotore di sviluppo umano diretto a favorire il benessere che «non si riduce alla crescita economica o al mero possesso di ricchezze materiali ma consiste nella più ampia possibilità di ogni persona di perseguire liberamente i propri scopi e obiettivi, di realizzare il proprio progetto di vita, essendo nelle condizioni di farlo, perché ne ha le possibilità e perché può e deve assumersi la responsabilità di scegliere tra opzioni diverse. Solo questa nuova antropologia dello sviluppo consente di giudicare una società sulla base delle libertà sostanziali di cui godono i suoi componenti aldilà degli approcci tradizionali basati su utilità e reddito».
Sono tempi bui. E allora noi donne dobbiamo agire per contrastare la barbarie, per costruire le premesse per un futuro di pace. Noi donne generatrici e costruttrici di relazioni e di pace, con la nostra capacità di tessere reti, abbattere muri e costruire ponti, siamo una grande risorsa per il dialogo, fondamentali per ricostruire dopo il disastro.
Isa Maggi