Mai avuto dubbi sul fatto che la decisione di Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale, all’indomani delle elezioni europee, fosse una scelta dovuta. E non solo per la ragione “tattica” che di lì in avanti non gli sarebbe convenuto stare sulla graticola, mentre per i prossimi due anni la Le Pen avrebbe potuto ogni giorno soffiare sulle braci.
La scelta aveva alla base una motivazione democratica sostanziale: se i Francesi avevano consegnato una maggioranza relativa del 34% a Madame Le Pen, conquistata sulla base di proposte molto chiare – abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni, ritorno di sovranismo, filo-putinismo… – allora che i Francesi la mettessero alla prova.
Il risultato finale non ha confermato le intenzioni di molti Francesi. L’alta partecipazione al voto non è stata certo favorita dal meccanismo elettorale del doppio turno, che tende ad abbassare la partecipazione al secondo.
Semplicemente il lepenismo è minoranza. Marine Le Pen si è consolata, affermando che la sua è una marea che continua a salire inesorabile. Occorre solo ricordare che maree si alzano e poi si abbassano. Dipende dalla “luna” degli… elettori.
Di qui in avanti incomincia di nuovo in Francia la politica quotidiana, molto simile in tutti i paesi europei, salvo che in Gran Bretagna: quella della contrattazione delle alleanze. L’auspicio di noi europei è che la deradicalizzazione delle frange estreme, consentita dal meccanismo del doppio turno, porti alla formazione di un governo capace di riconsegnare un ruolo alla Francia nella costruzione dell’Unione europea e nella difesa delle ragioni dell’Ucraina.
A noi Italiani l’asse franco-tedesco non è mai piaciuto moltissimo. Resta tuttavia che, fino ad oggi, questo asse ha tenuto in piedi il discorso europeo, finché noi non sappiamo farlo meglio. Un governo Bardella molto probabilmente lo avrebbe indebolito ancora di più.
Le attese e le paure
Lasciando a Macron le sue pene, quali insegnamenti derivano dalla vicenda francese a noi Italiani per affrontare le nostre?
Per rispondere a tale domanda è necessario fendere la nebbia del dibattito politico-politologico per vedere più in basso e più da vicino che cosa si agita nella società civile europea, al netto delle differenze culturali e politiche di ciascun Paese.
Ciò che si percepisce immediatamente è una frammentazione socio-economica crescente, accompagnata da un’acuta autocoscienza del fenomeno da parte dei soggetti sociali coinvolti. La frammentazione viene spesso descritto con l’uso esclusivo di categorie pauperistiche, soprattutto da chi cerca incessantemente un nuovo soggetto della liberazione umana.
Eppure, c’erano minori diseguaglianze socio-economiche e culturali prima dell’accensione dei processi di globalizzazione? Si stava meglio prima o si stava peggio? La risposta è: c’erano maggiori diseguaglianze, fino alla fame vera e propria, la gente stava peggio e moriva prima. Oggi si sta meglio.
Solo che uno dei meccanismi attivati dallo sviluppo socio-economico e tecnologico e dal globalismo della comunicazione è stato quello della crescita continua delle attese e delle pretese.E della conseguente domanda di eguaglianza nella distribuzione dei benefici e della ricchezza. Perché loro sì e noi no? Perché lui sì e io no? Ecco perché dall’Africa partono i più “ricchi” e non i più poveri. Perché “ci hanno visti”! E le attese si sono trasformate in “diritti di…”. Così si sono mischiati due fatti: un aumento della velocità oggettiva dello sviluppo ineguale e di nuove opportunità di sviluppo, cui non tutti possono immediatamente accedere allo stesso modo, e un elevamento delle attese e pretese soggettive di tutti. L’espressione ZTL – Zona a Traffico Limitato – è diventata la sintesi simbolica di queste contraddizioni.
Così, per tornare alla Francia, Parigi è rappresentabile come un’unica ZTL rispetto all’intera Francia. Fenomeni analoghi – sotto il dualismo città-periferia, città-campagna, pianura-montagna, pianura-zone interne – sono visibili in Italia.
Le ragioni sociali e psicologiche del sovranismo
L’altro meccanismo – psicologico – che si innesca è quello dell’inquietudine e della paura. Anche se noi, in quanto individui e gruppi in situazione, puntiamo a conservare la tranquilla stabilità del nostro mondo, è esattamente questo mondo che sta velocemente cambiando.
Gli adulti invecchiano, i ragazzi mancano. Quelli nuovi arrivano in barcone, quando ce la fanno, dotati di altre culture, abitudini, religioni diverse e spesso ostili. Le nostre chiese si svuotano, i tetti cadono a pezzi. Stiamo perdendo il controllo del nostro presente e del nostro futuro.
Il sovranismo “bianco” non è un’invenzione della politica, è la reazione socio-culturale alla perdita di sovranità sulla propria vita quotidiana. Ci sono classi sociali e intellettuali che hanno la corrente a favore – e sono una minoranza. Ci sono classi e gruppi e individui che restano indietro – e sfiorano la maggioranza. Se la politica non riesce a far intravedere speranze, nessuna meraviglia che appaiano all’orizzonte venditori di almanacchi e di illusioni, che, in cambio di voti e di potere, annunciano nuovi paradisi terrestri di sovranità nazionale e di pace universale, purché restiamo tranquillamente al caldo delle nostre comunità locali, dentro i nostri confini nazionali e custodiamo le nostre tradizioni.
I periodi di transizione sono più difficili
Perciò tentare di cavarsela solo con l’antica dialettica antifascismo-fascismo non porterà lontano. I periodi di transizione sono storicamente i più difficili da governare, ma anche i più fecondi di novità. La transizione ci riconsegna un nuovo lancio dei dadi, che qualcuno aveva gettato prima di noi.
La transizione: esige la messa al bando di approcci fondamentalisti rispetto a questioni quali la transizione energetica, la crisi climatica, il fenomeno dell’immigrazione, l’avvento dell’Intelligenza artificiale, il disordine geopolitico mondiale… Non è più il tempo degli slogan semplificatori.
Se la politica dà voce solo a chi corre, quelli che restano indietro a chi si affideranno? E poiché “politica” coincide, almeno in Europa, con “democrazia” e “statualità nazionale”, il rischio già evidente è che i settori fuori dalla ZTL si rifugino nell’antipolitica e nell’anti-democrazia. Ha incominciato ad accadere già dal 2008. È ora di apprendere un’altra lezione.
Giovanni Cominelli