La presentazione del rapporto annuale dell’Istat rappresenta da sempre l’occasione per fare il punto sull’evoluzione della comunità italiana. La relazione del Presidente Francesco Maria Chelli offre una sintesi delle indagini sviluppate nel corso del 2023 che aiutano a rileggere le dinamiche congiunturali sulla base delle tendenze strutturali che aiutano a interpretare più correttamente l’evoluzione dell’economia, dell’occupazione e della distribuzione del reddito.
Il portentoso rimbalzo della crescita economica nei due anni successivi alla pandemia ha consentito il recupero delle perdite del valore del Pil riportando su livelli superiori al 2019. Nonostante il rallentamento registrato nel corso del 2023, le performance del nostro sistema produttivo rimangono migliori rispetto alla media dei Paesi europei. Tuttavia, i risultati ottenuti hanno consentito di recuperare a malapena, e con forte ritardo, i livelli del Pil precedenti alla crisi economica del 2008 e la progressiva crescita del divario nel confronto con i principali Paesi dell’Ue (-17 punti rispetto alla Germania, -14 rispetto alla Francia, -10 sulla Spagna). Una distanza che si accompagna alla stagnazione della produttività derivante dalla decrescita degli investimenti e dal sottoutilizzo delle tecnologie digitali nei comparti dei servizi ad alta intensità di occupazione che hanno caratterizzato la ripresa dell’economia negli ultimi 10 anni.
Un percorso analogo a quello dell’occupazione che ha raggiunto livelli record per il valore assoluto del tasso di occupazione (62,1%) e del numero degli occupati 23,8 milioni. E una crescita di 781 mila posti di lavoro rispetto a 5 anni fa, caratterizzata per la stragrande parte dal numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato.
Rimane comunque rilevante il sottoutilizzo delle persone in età di lavoro rispetto agli altri Paesi dell’area Ocse, che è peggiorato per la componente delle donne e dei giovani under 34 anni.
La stagnazione della produttività offre una parziale spiegazione alla perdita del valore reale delle retribuzioni medie (-4,5%) nel corso degli ultimi dieci anni, anche per il contributo negativo della crescita dell’inflazione negli ultimi tre anni superiore all’incremento dei salari nominali.
Anche la spesa media delle famiglie si è ridotta del 5,8%. I dati medi citati devono tener conto dell’aumento delle performance degli squilibri settoriali, aziendali e territoriali che si riflettono sulle caratteristiche della distribuzione del reddito. Il numero delle persone in condizioni di povertà assoluta è praticamente raddoppiato fino a raggiungere il record di 5,7 milioni nel 2023 (9,8% sul totale), con una particolare esposizione per le famiglie numerose e dei minori a carico (1,3 milioni).
È aumentata anche la quota dei lavoratori poveri (7,5% del totale), con una particolare accentuazione per la quota dei lavoratori dipendenti (8,2%).
L’andamento della popolazione residente si assesta sulla cifra dei 59 milioni, dopo 10 anni di decrescita, per la ripresa dei flussi di immigrazione che hanno compensato il saldo negativo naturale (la differenza tra i morti e i nati), influenzato dall’ulteriore riduzione delle nuove nascite (379 mila). Prosegue l’invecchiamento medio della popolazione (46 anni, +3 rispetto al 2014) favorito dalla ripresa delle aspettative di vita (83,1 anni) dopo la contrazione registrata nel corso della pandemia. L’invecchiamento della popolazione produce effetti su quella in età di lavoro e riduce i numeri del potenziale ricambio generazionale. Gli over 65 anni rappresentano un quarto della popolazione e un numero doppio rispetto agli under 15, destinato ad aumentare in modo esponenziale anche per la quota degli anziani non autosufficienti.
Le possibilità di contrastare il declino demografico con un aumento della natalità e del tasso di fecondità (attualmente1,2 figli) risulta limitato dalla riduzione contemporanea delle donne fertili e dalla crescita delle coppie di fatto, delle famiglie ricostituite e monogenitoriali (39,7% del totale della popolazione) e del numero degli adulti single (22,1%).
Il declino demografico comporta conseguenze sulle caratteristiche della popolazione in età di lavoro, sul cambiamento degli stili di vita e sullo spopolamento delle aree interne che risentono della contrazione dei servizi essenziali per la vita comunitaria (scuole, mobilità, sociosanitari, finanziari). Fattori che incentivano la mobilità lavorativa delle giovani generazioni verso i territori economicamente più attrattivi e altri Paesi sviluppati.
L’Istat invita a considerare l’insieme delle tendenze come fattori strutturali da contrastare, per le parti negative, orientando l’utilizzo delle risorse disponibili verso impieghi produttivi. Il primo obiettivo deve essere quello di rimediare il sottoutilizzo di quelle finanziarie, tecnologiche e umane aumentando i tassi di investimenti e della produttività e sfruttando l’effetto virtuoso che può derivare dall’impiego delle tecnologie digitali e dalla crescita delle competenze dei lavoratori.
L’aumento della quantità e della qualità della popolazione attiva rappresenta la via principale per ridurre i livelli di povertà.
La riduzione delle persone in età di lavoro deve essere compensata con un maggiore impiego di quelle sottoccupate, disoccupate e inattive. La soddisfazione dei fabbisogni collegati all’invecchiamento della popolazione, in particolare di quelli sociosanitari e di accesso ai servizi digitali può rappresentare anche un volano importante per la crescita dell’economia e dell’occupazione.
Proposte che invitano a cambiare molti paradigmi che hanno orientato le scelte politiche operate negli ultimi 15 anni caratterizzate dall’aumento della spesa assistenziale e del debito improduttivo.
Natale Forlani
Pubblicato su www.ilsussidiario.net