L’esito delle elezioni amministrative ha confermato la débacle del PD e ha riacceso, nel buio della sinistra, i fari sui cosiddetti “riformisti”, dentro e fuori il PD.
I quali, tuttavia, anch’essi brancolano nel buio. I giudizi sono simpatetici, ma desolati: “Hanno la ragione, ma non la forza”; “sono capaci di vincere le battaglie, ma perdono sempre la guerra” ecc…. ecc…
Di questa condizione di buio dell’intera sinistra corre la spiegazione consolatoria dei vichiani corsi e ricorsi storici: ieri spirava un vento di sinistra, oggi spira un vento di destra. Al giunco non resta che piegarsi.
Perciò occorre continuare a ripetere antiche verità e antichi slogan, accumulare forze e aspettare… E ciò che pratica la parte più conservatrice della sinistra vetero-marxista, che impropriamente viene denominata “radicale”. Sono i Testimoni di Geova del Movimento operaio. Raccolgono a malapena il 3% dell’elettorato.
Poi c’è la risposta della sinistra-Schlein/Landini, secondo la quale spirano molti venti, non solo di destra. Occorre disporsi sui quattro punti cardinali per intercettarli: antropologia fluida, ecologismo radical-apocalittico, “peace and love”, diritti e ancora diritti, Stato protettore.
Esso deve garantire, con la forza della legge, i diritti individuali in crescita esponenziale e, con i soldi pubblici, anche i diritti sociali. La venerabile “lotta di classe” pretendeva di sostituirsi ai padroni, un giorno o l’altro, per gestire la produzione, l’economia, la società tutta, lo Stato.
Landini l’ha derubricata a lotta civile per i diritti dei lavoratori in quanto cittadini: chiede salario minimo, garantito non dalla contrattazione, ma dallo Stato, e molta assistenza pubblica. Per questa sinistra la produttività è faccenda che riguarda i padroni delle ferriere; i lavoratori devono solo rivendicare diritti. Per questa sinistra le questioni antropologiche sono armi di distrazione di massa, confezionate ad hoc negli arsenali della destra.
Tuttavia, quali che siano i grumi ideologici che vagano per il cervello dei gruppi dirigenti di questa sinistra frou-frou, ci sono forche caudine, sotto le quali le persone “normali” – ma anche i politici lo sono, suvvia! – devono passare ogni giorno.
La prima: sta nascendo una nuova percezione di massa della storia. Da quattro secoli ha dominato nell’immaginario occidentale – con qualche eccezione rilevante, da Burke a Nietzsche a Heidegger… – la visione della storia umana come progresso continuo e inarrestabile.
Uno sguardo retrospettivo la conferma, nonostante i capitomboli che le generazioni hanno fatto. Basterà solo pensare al sangue versato nelle ultime due guerre mondiali. Ma lo sguardo in avanti non lo conferma più.
Qualcosa si è spezzato per le generazioni che stanno vivendo nell’epoca presente. Le onde della globalizzazione, l’epidemia passata e, forse, futura, le ingenti trasformazioni strutturali e sovrastrutturali in corso, la guerra in Europa, tutto ciò ha fatto saltare la visione della storia come progresso.
In questi anni del Terzo Millennio, “La Nuova Atlantide” – che Francesco Bacone preannunciò con il libro omonimo, uscito postumo nel 1627, di cui una traduzione del 1937 è stata prefata da Giovanni Gentile – è stata inghiottita da un terremoto culturale senza precedenti. Si tratta di una “rottura epistemologica” epocale. Perciò la gente ha paura del domani, i giovani soprattutto.
La paura è di destra? No, è solo un fatto. Oggi, le forze politiche si legittimano e raccolgono consenso sulla capacità di affrontare questo fatto. E poiché la sinistra si è costituita come tale sull’idea di progresso, essa fa più fatica della destra ad interpretare “la fine del progresso”. È difficile per un progressista riconoscere che il progresso non è più il motore del divenire.
La seconda forca caudina è la “questione antropologica”: inverno demografico, invecchiamento crescente delle società, separazione tra sesso e gender, gravidanza per altri, eutanasia, bio/nano-tecnologie applicate all’uomo, connettività permanente, intelligenza artificiale… Ciò che è in questione è semplicemente il destino della specie e, dunque, di ogni singolo individuo.
Ciò che si prospetta sempre più da vicino è la produzione dell’uomo da parte dell’uomo non più per vie naturali, come accade per le altre specie animali, ma per progettazione tecno-scientifica di laboratorio.
Che il corpo fosse una maledizione e un ostacolo per “l’anima” e una degradazione da un livello ontologico più alto lo hanno teorizzato diverse correnti religiose e filosofiche, dal buddismo, al pitagorismo, al platonismo, a Plotino, agli gnostici, ai catari… Il corpo come pura “extensio” fu già un assunto cartesiano. Questi filoni oggi sono ripresi dai trans-umanisti e dai post-umanisti à la Kurzweil.
La riduzione del corpo sessuato a macchina intercambiabile e sostituibile a servizio delle scelte della mente quali conseguenze produce sulla formazione dell’identità umana, sull’educazione dei figli, sul futuro della specie? Che la specie umana sia destinata a diventare il residuo biologico di una digitalizzazione universale?
Il popolo, si sa, non ha tempo per la filosofia, ma la “sente” e la vive, nel mondo della comunicazione, dei film, dello spettacolo, dei social, della pubblicità. La sente e ne ha paura.
La destra ha ascoltato le paure e ha dato loro una voce. E ha risposto con “Dio, Patria, Famiglia”. È la risposta del Fascismo redivivo? In realtà è la triade proposta ne “I Doveri dell’uomo” del 1860, in cui Mazzini polemizzava contro i rivoluzionari dell’epoca, che vedevano solo i diritti. Il fascismo l’ha ripresa e inquinata, al punto che la triade era diventata improponibile e esposta a molti usi e abusi.
Ma resta da chiedersi perché oggi molti elettori – di cui solo un’infima minoranza è nostalgica del fascismo – ricomincino a ritenerla una risposta, pur praticando in molti l’agnosticismo materialistico, l’indifferenza egoistica per la Patria e le famiglie “plurali” in successione e in parallelo. Il fatto è che, in tempi di minaccia, ciascuno si stringe attorno a ciò che ha di più vicino: la famiglia, la comunità locale, la parrocchia, la patria, la nazione, lo stato…
E la sinistra? Mentre Enrico Letta ha definito la triade un “ritorno al patriarcato”, Elly Schlein ha scelto di camminare frivola e leggera sul campo minato delle questioni antropologiche.
E i riformisti, di cui all’inizio? Sì, hanno davanti vaste praterie per un pensiero politico di sinistra riformista, liberale, socialista, liberal-socialista, cattolico-liberale ecc… ecc… Per ora, tuttavia, paiono dediti più alla “politique d’abord”, più al “primum vivere” che al “philosophari”.
Si dedicano meritoriamente alle questioni della produzione e del lavoro, secondo un’antica tradizione e un antico limite della cultura socialdemocratica e migliorista del PCI. Si chiama “economicismo”. Dario Di Vico l’ha definito “laburismo consolatorio”. L’indifferenza alla problematica antropologica, in nome del “totus politicus” e del “totus oeconomicus”, è certamente l’eco di tamburi lontani dell’ ’800-‘900, quando erano i rapporti di produzione e la lotta di classe ad avere l’ultima parola. Non basta più. Anche “i riformisti” dovranno decidersi a passare sotto le forche caudine.
Giovanni Cominelli