Siamo nati nomadi e, anche quando siamo diventati stanziali, abbiamo conservato l’abitudine di spostarci in cerca di condizioni più favorevoli. E’ una tendenza naturale, iscritta nel nostro DNA. Da cacciatori-raccoglitori ci si spostava, quando i terreni non erano più produttivi o si erano impoveriti di selvaggina; quando non erano carestie o condizioni climatiche avverse a determinarne la causa.
Si migrava in cerca di territori e ambienti migliori, occupandoli se liberi o espugnandoli se necessario. Le guerre non avevano solo mire espansionistiche, essendo più spesso dettate da necessità vitali.
I tempi sono cambiati e le necessità evolute, ma ancora si soffre per la fame, la libertà e la salute. Una parte del mondo va avanti e una resta indietro, ma la finestra aperta sull’umanità dalle moderne tecnologie comunicative, rende più agevoli le conoscenze per la scelta dei luoghi di trasferimento e i percorsi per arrivarvi, quando le condizioni di vita locali non sono più accettabili.
Non sono viaggi di piacere quelli che si affrontano per sfuggire a oppressioni politiche, patimenti fisici e psicologici, e quel che si abbandona non ha molto valore se non in termini affettivi. Non c’è praticamente nulla da perdere, se non la propria vita e quella dei propri familiari, in genere figli piccoli cui poter dare la speranza di un futuro migliore. Non c’è un radicamento perché non c’è nulla da difendere o peggio, che valga la pena difendere.
Il fenomeno si ripete ormai sistematicamente da parecchie decine di anni e, pur con flussi alterni, è destinato ad aumentare più che esaurirsi, accrescendo la quota di popolazione indigente e il divario tra benestanti e disagiati.
L’Italia, per la sua posizione geografica è, più delle altre nazioni europee, esposta all’arrivo di migranti, offrendo approdi comodi da raggiungere, quanto difficili da controllare lungo le migliaia di chilometri di coste nel Mediterraneo. E’ una meta ambita proprio per la facilità di approdo e così succede da tempo.
Oggettivamente, solo i fatti luttuosi recenti stanno facendo breccia nella UE, per affrontare insieme una questione che non può essere lasciata in gestione ai soli paesi più immediatamente esposti. Gli accordi raggiunti in passato, da Schengen a Dublino, non si possono certo considerare emblema della solidarietà tra gli stati membri.
La politica in tutti questi anni ha mostrato limiti evidenti, reagendo più spesso emotivamente che razionalmente, con azioni demagogiche o proclami populisti, al fine di terrorizzare la popolazione con l’idea di diventare schiavi in casa propria. Che tra profughi e migranti politici o economici, come sta più spesso succedendo, quando non addirittura della salute, possano annidarsi frange di persone poco raccomandabili, è un rischio possibile, ma da lì a criminalizzare chi si imbarca per disperazione, ce ne corre.
Il fenomeno è così diventato un problema cronico, urgente e non più differibile, ma evitando di etichettarlo come un’emergenza, perché non sarebbe l’approccio giusto.
Serve un’analisi seria, sotto l’aspetto sociale, politico e economico, cercando di aggredire le cause, alla base del fenomeno e non gli effetti; abbandonando la retorica populista, inutilmente offensiva e poco rispettosa della dignità umana di gente che più spesso ha solo il torto di essere nata nella parte meno fortunata del mondo.
Le statistiche, impietose nelle loro fredde analisi, ci dicono che dall’inizio di quest’anno, tra chi ha cercato di raggiungere le nostre coste, si contano ormai 300 morti, di diversa età e provenienza. L’equivalente di circa 2000 vite perse nell’anno, se si dovesse confermare l’attuale andamento. Numeri, ma non solo, come ha dimostrato la commozione generale per quei bambini, tragicamente morti senza colpa.
Indigna perciò che ci sia chi se la prende coi loro genitori, colpevoli di averli trascinati in quella folle avventura. Un padre e una madre responsabili non espongono dei figli, specie minori, a rischio della vita: e pensare che hanno anche i telefonini e avrebbero potuto informarsi prima! Parole che meritano biasimo e nulla più.
Ma la politica in queste circostanze, non perde occasione per dare il meglio di sé, allestendo un avvilente teatrino in cui scambiare insulti tra maggioranza e opposizione, che nulla producono se non la riprovazione dei cittadini e la loro deriva istituzionale. Nel gioco delle parti, chi stando prima all’opposizione inveiva contro il governo, accusandolo di incapacità e inadeguatezza, a ruoli invertiti, e dovendo adesso rispondere coi fatti, diventa più possibilista; non più affermazioni perentorie ma incerti balbetti, non mancando di attribuire a chi c’era prima la responsabilità dell’accaduto.
Così è, così è stato e c’è da pensare che così sarà se qualcosa non cambierà nell’opinione pubblica. Giova sempre ricordare, per onestà intellettuale, che non esistono soluzioni facili a problemi difficili e la questione migranti, è sicuramente un problema complesso che non si risolve a colpi di slogan.
Fermare gli scafisti, come da più parti autorevolmente richiesto, è doveroso e necessario, ma pur tuttavia significa tamponare un’emergenza; anche se quello dei migranti è un commercio altamente remunerativo e qualcuno disposto ad assumersi dei rischi di certo non manca. Ma, quand’anche si riuscisse a bloccare gli arrivi via mare, il flusso di chi è alla disperata ricerca di condizioni di vita accettabili, si sposterebbe inevitabilmente via terra.
Se la comunità internazionale non si farà carico del problema, si rischia di esasperare i contrasti e acuire le tensioni, aprendo la strada a possibili conflitti. Abbiamo visto che non servono fondati motivi per scatenare guerre e quindi la via maestra rimane quella del dialogo, del confronto costruttivo e della rimozione di veti e impedimenti allo sviluppo di molti paesi in sofferenza, per poter contare su un’economia autosufficiente. Ovviamente la questione non è solo economica ma chiama in causa il regime democratico e la cultura religiosa, laddove il fondamentalismo incide in modo determinante sull’etica pubblica, come succede in vari paesi orientali.
Problemi di non poco conto, su cui INSIEME intende richiamare l’attenzione di tutti, attraverso un impegno solidale e solenne delle Nazioni Unite, perché le sorti del mondo riguardano tutti e, la globalizzazione ce lo dimostra ogni giorno, entrando coi media nelle nostre case. Non basta indignarsi, commuoversi o turbarsi; servono chiare prese di posizione.
C’è un tempo per parlare e un tempo per agire. Sta a noi decidere cosa fare.
Adalberto Notarpietro