Siamo nati anche per superare il bipolarismo, falso e bugiardo, che ha praticamente distrutto la politica italiana e favorito lo sviluppo delle disuguaglianze e delle divisioni sociali.

Popolarismo tagliato fuori e costretto a ritagliarsi spazi in case altrui, dove soffre impotenza ed emarginazione.

Eppure, il Paese ha bisogno di più attenzione alla solidarietà, al rispetto della Persona intesa nella intera globalita delle sue sfere, di una cultura politica che valorizzi gli equilibri tra Stato e società civile, il rispetto dei ruoli degli organi dello Stato, per primi quelli delle Autonomie locali. In poche parole, di ciò che solo il popolarismo ha saputo esprimere nei primi 50 anni di vita Repubblicana. Lungo periodo durante il quale si è allargata la base democratica del Paese, si è assicurato il pluralismo, si è raggiunto e ridistribuito il benessere, come mai accaduto in precedenza.

Molto di questo si è perso nell’ultimo trentenni, e non sembra davvero facile recuperarlo.

In molti puntano il dito contro il sistema elettorale. Anche noi siamo tra questi.

Ma non si tratta solo di questo pur importante condizionamento. Perche fenomeni come quelli della Lega, dei 5 Stelle e dei Fratelli d’Italia dimostrano che, pure con il permanere di leggi elettorali inique ed anticostituzionali, è possibile creare delle novità.

Il popolarismo è tuttora frenato da quelle che sono delle vere e proprie “pietre d’inciampo”. Causa ed effetto di quella che chiamiamo “diaspora politica dei cattolici”, finitu per rivestire altre casacche o per ingrossare le fila dell’astensionismo. Frutto anche della perdita di un’intera cultura politica da parte di una larga parte del mondo cattolico, che pure sente il bisogno di un impegno pubblico. Quel coinvolgimento tanto autorevolmente solecitato da Papa Francesco con la Fratelli tutti.

La risposta, in realtà, è sempre stata timida e cauta. Pensando alle scuole di formazione e prendendo atto del disimpegno sostanziale delle grandi associazioni di massa, che pure ci sono, ma che finiscono per delegare alla Gerarchia prese di posizioni ed interventi, molto belli ed articolati, ma che lasciano sempre qualcosa d’incompiuto e in sospeso la risposta alla domanda delle domande: che fare?

E così, è un gran parlare di pre-politico, anche se questo termine vuol dire tutto e niente.

Questo pre-politico ha fatto nascere varie parole d’ordine, ma con scarsa capacità di favorire la creazione di quella rete, oggi, necessaria soprattutto per costruire una presenza ben piantata nei territori. E questo, molto spesso, fa perdere nell’astrattezza e favorisce il senso di frustrazione nei tanti che, pure, sarebbero disponibili a mettersi in gioco.

Bene che vada, c’è l’impressione che tutto sia rimandato ad un tempo migliore. E come sempre accade in questi casi, anche se poi dovesse giungere quel monento, potrebbe comunque far ritrovare i buoni intenzionati oltre il tempo limite.

L’attacco all’assetto istituzionale portato con il Premierato, il rischio concreto di una più grave spezzettatura del Paese, grazie all’Autonomia differenziata, la grave crisi del Sistema sanitario, e tanto altro ancora, ci dicono che adesso è il momento di ricostruire una proposta politica popolare e solidale. Magari andando oltre le stucchevoli elucubrazioni su “partito si o partito no”.

Anche la raccolta di firme per un referendum per l’abrogazione dell’attuale Legge elettorale, il Rosatellum, può costituire un motivo d’impegno per giungere alla ricomposizione di un’area centrale in cui cattolici e non possono offrire al Paese un’alternativa credibile all’attuale quadro politico.

Giancarlo Infante

 

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