L’evoluzione del mercato del lavoro italiano e l’andamento della domanda e dell’offerta continueranno a essere condizionate da due fattori strutturali: l’impatto delle innovazioni tecnologiche sulle organizzazioni del lavoro e sulle professioni; l’invecchiamento della popolazione attiva. Sono comuni a tutti i Paesi sviluppati, ma nel contesto nazionale assumono una particolare originalità, riscontrata dalla crescente difficoltà delle imprese di reperire le risorse umane coerenti con i fabbisogni professionali richiesti, che si avvicina ormai al 50% delle potenziali assunzioni, con un tasso di occupazione delle persone in età di lavoro tra i 25 e i 64 anni del 66%, che risulta inferiore di 10 punti rispetto alla media dei Paesi dell’Ue.
Nelle condizioni date, nonostante le buone performance occupazionali registrate nel corso degli ultimi due anni (oltre 700 mila occupati in più rispetto al 2019), queste dinamiche possono comportare una riduzione del tasso di crescita del Pil e seri problemi per la sostenibilità delle prestazioni sociali per via del contemporaneo aumento del numero degli anziani, in particolare di quelli non autosufficienti, a carico della collettività.
Sul piano teorico l’enorme disponibilità delle tecnologie digitali, che risultano sottoutilizzate rispetto alla media dei Paesi sviluppati, potrebbe favorire una crescita della produttività e dei redditi offrendo una parziale risposta al problema. La condizione per tradurre le potenzialità nella realtà dipende dall’aumento della quantità e della qualità delle risorse umane impiegate e soprattutto dalla quota di lavoratori dotati di competenze adeguate per trasferire l’utilizzo delle tecnologie nelle organizzazioni del lavoro, ovvero per utilizzarle per produrre beni e servizi da trasferire ai consumatori finali.
Queste esigenze devono essere conciliate con l’impatto dell’invecchiamento della popolazione che riduce sul piano quantitativo il numero delle persone in età di lavoro (circa -5 milioni nel prossimo decennio) e che comporta seri problemi per l’adeguamento delle competenze dei lavoratori anziani.

Allo stato attuale la resilienza dei lavoratori anziani nel mercato del lavoro risulta superiore alle aspettative. La crescita degli occupati degli over 50 (+3,1% negli ultimi 12 mesi) risulta costantemente superiore alla media generale e alla dinamica spontanea dell’invecchiamento della popolazione attiva. L’aumento dell’età pensionabile offre una spiegazione parziale del fenomeno. Ma concorrono al risultato altri fattori, in particolare la dotazione di competenze esecutive legate alle esperienze accumulate e la disponibilità a svolgere le mansioni esecutive da parte dei lavoratori anziani che non trovano riscontri nel ricambio generazionale e di genere.

In corrispondenza dell’uscita dei lavoratori anziani è aumentata negli ultimi due anni dal 31% al 46% anche la quota dei profili esecutivi qualificati che non trovano una corrispondente disponibilità nel mercato del lavoro e la domanda di lavoratori stranieri per le mansioni con bassa qualificazione (indagine Excelsior ministero del Lavoro-Unioncamere).

In via del tutto teorica risulta disponibile una riserva di almeno 3,5 milioni di persone in cerca di lavoro, o inattive disponibili a lavorare a determinate condizioni, per la gran parte donne, e una cifra pressoché analoga di lavoratori sottoccupati disponibili a lavorare per un tempo superiore. Una quota pressoché analoga di lavoratori risulta occupata con orari di lavoro annui inferiori al tempo pieno. Una parte significativa di quest’ultimi, circa 1,6 milioni, sono immigrati che lavorano nelle attività economiche caratterizzate da quote rilevanti di lavoro sommerso. Più problematica risulta la capacità di incrementare la quota dei lavoratori dotati di competenze più elevate. La quota dei giovani diplomati, e in particolare quella dei neolaureati rimane largamente al di sotto della media Ue. I numeri sono aggravati dalla riduzione demografica del numero dei giovani e dal mancato allineamento dei percorsi scolastici e universitari rispetto ai fabbisogni professionali delle imprese. Circa due milioni di giovani laureati e diplomati risultano disoccupati o impiegati con mansioni che non valorizzano i loro percorsi di studio. Le proiezioni effettuate dalle indagini Excelsior sui prossimi tre anni evidenziano un gap rispetto alla domanda delle imprese: del 49% per i laureati (il 66% per le lauree tecnico-scientifiche); del 43% per i diplomi delle secondarie superiori; del 47% per quelli delle scuole professionali.

Questi deficit si riflettono anche sulla quantità e sulla qualità del ricambio imprenditoriale e del lavoro autonomo. Tema alquanto trascurato nelle indagini conoscitive e nei commenti dei mass media.

Sul piano teorico la riduzione della popolazione in età di lavoro dovrebbe favorire un aumento delle opportunità di lavoro per chi lo cerca e una riduzione dei disoccupati e degli inattivi, e in parte questo sta avvenendo con la crescita del tasso di occupazione e dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato.Ma per raggiungere gli obiettivi desiderati, in particolare la riduzione del mismatch, servono altre leve.

La prima è quella dell’adeguamento strutturale dell’offerta formativa: prevedere l’utilizzo ordinario dei percorsi di alternanza tra scuola e lavoro; valorizzare la formazione aziendale per i lavoratori occupati e nella fase iniziale dell’inserimento lavorativo dei nuovi assunti; rivalutare il ruolo e lo status delle specializzazioni esecutive.

Il diritto di accesso alla formazione per tutto l’arco della vita lavorativa dovrebbe essere assunto sul piano normativo e sostanziale, e con il supporto di un ” fascicolo del lavoratore” che valorizzi le competenze acquisite e l’utilizzo delle informazioni per facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.

Le politiche attive dovrebbero prevedere una gamma di interventi per favorire l’anzianità attiva e il lavoro di cura per i minori e le persone non autosufficienti. Strumenti che hanno consentito in molti Paesi europei di rendere sostenibile l’età pensionabile e di favorire la crescita del tasso di occupazione femminile.

La possibilità di adeguare l’offerta formativa e i servizi di orientamento dipende essenzialmente dalla quantità degli attori funzionali (istituzioni scolastiche e universitarie, parti sociali, operatori che intermediano l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro) che cooperano per aumentare la massa critica degli interventi rivolti a rendere sostenibili le transizioni lavorative di milioni di persone.

Un obiettivo che può essere realizzato migliorando la qualità della cooperazione tra le istituzioni pubbliche (ministeri del Lavoro, Istruzione, Università e Regioni) e del coinvolgimento delle rappresentanze delle imprese e dei lavoratori nella programmazione degli interventi.

Natale Forlani

Pubblicato su www.ilsussidiario.net

 

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