Non mancava molto alle tre del mattino di mercoledì 6 novembre quando Donald Trump – mentre la sua rivale seguiva con attenzione la situazione nei tre stati-chiave in cui erano ancora in corso lo spoglio ed i conteggi – ha rivendicato davanti a tutto il mondo, e ai suoi plaudenti sostenitori riuniti a Palm Beach, in Florida, di aver ottenuto “la vittoria più incredibile che il nostro Paese abbia mai conosciuto”. Questa notte – ha detto – “abbiamo fatto la storia”, affermando di voler ”rimettere in ordine il Paese” e, addirittura, di voler inaugurare “una nuova età dell’oro per l’America”.
La vittoria di Trump ha dato ragione al convincimento dei mercati, e alla loro scommessa che l’ex presidente sarebbe tornato alla Casa Bianca. E il risultato è stato rapido e inequivocabile, nelle migliori tradizioni del capitalismo americano. Le buone notizie per il mercato azionario si sono succedute rapidamente. Ma la flessione dei titoli obbligazionari ha dato un segnale inquietante della tensione sui livelli di debito e delle aspettative d’inflazionistiche che derivano dall’agenda economica di Trump: tagli alle tasse, spesa pubblica, dazi sulle importazioni, più una stretta sull’offerta di lavoro dovuta a una limitazione dell’immigrazione.
L’avvento di Trump segnerebbe poi un cambiamento delle “regole del gioco” per le banche statunitensi. Potrebbe annunciare la fine di molti anni di regolamentazione, e potrebbe portare a un boom. Ma ai boom – è stato fatto autorevolmente notare – tende spesso a far seguito una crisi”.
Non è facile identificare nel dettaglio e mettere in una graduatoria di importanza, o di gravità, le conseguenze della vittoria di Trump alle elezioni americane. Queste conseguenze sono infatti molte, anche se in fondo non sono proprio una sorpresa perché tutti, più o meno, sapevano che la sconfitta di Kamala Harris era assai probabile, mentre addirittura plateali erano i benefici attesi dai soggetti economici che avevano deciso di cavalcare il rabbioso desiderio di rivalsa che animava Trump.
Alcune di queste conseguenze già si sono prodotte. In primo luogo, un forte movimento ascensionale della borsa, dove peraltro val la pena di notare il notevole balzo in avanti delle azioni della Tesla; balzo che risente evidentemente dell’impegno e dell’amicizia dimostrata da Elon Musk per il candidato repubblicano a partire da luglio scorso, dopo il tentativo di attentato. E questo, durante il quale un proiettile aveva sfiorato la testa di Trump, aveva provocato una vera e propria “frustata di ritorno”, moltiplicando l’impegno del candidato stesso e dei suoi sostenitori.
Wall Street ha registrato un’impennata già all’apertura del giorno immediatamente successivo a quello dell’attentato, toccando un massimo storico, grazie all’aumento delle scommesse sulla vittoria di Donald Trump che avrebbe scatenato un’ondata di tagli alle tasse e di deregolamentazione.
L’indice di riferimento S&P 500 è salito del 2,1% a 5.905,46, un nuovo massimo “intraday”. Le azioni del Nasdaq Composite, settore tecnologico, sono salite di quasi il 2%. Il Russell 2000 a media capitalizzazione ha guadagnato il 4%, raggiungendo il livello più alto dal 2021.
I circa quindici miliardi di aumento di valore dell’azienda dell’auto elettrica fanno però un po’ a cazzotti con il crollo di diverse società impegnate nell’energia rinnovabile, a causa delle crescenti preoccupazioni per la minaccia che una presidenza Trump potrebbe rappresentare per il settore dell’energia pulita Trump si è infatti dichiarato sempre ostile ai sussidi federali per le energie verdi. Il che spiega perché, in maniera eguale e contraria, il magnate statunitense degli idrocarburi prodotti dagli scisti, fondatore della Continental Resources, Harold Hamm, ha dichiarato che la vittoria di Donald Trump è una “vittoria monumentale” per la sicurezza energetica americana e per l’industria del petrolio e del gas.
Con il risultato elettorale del 7 novembre, i titoli della tecnologia solare hanno immediatamente subito cali a due cifre. Già poco dopo mezzogiorno di mercoledì, le azioni della AES Corp erano scese del 9,5%, quelle di Sunrun erano scese del 26,2%, quelle di Solar Edge del 19,2%, quelle di Enphase Energy del 16,6% e quelle di First Solar del 10,7%.
E, per i timori sulle energie rinnovabili a seguito della vittoria elettorale di Donald Trump, sono subito diminuiti anche prezzi del rame, componente chiave dei cavi che trasportano l’elettricità, che al Chicago Mercantile Exchange è sceso di quasi il 5% nel primo pomeriggio,
Tutto ciò mentre la lobby statunitense delle rinnovabili, l’American Clean Power Association, si precipitava ad ipocritamente mostrare addirittura entusiasmo per Trump, con l’evidente proposito di ingraziarselo e di ridurre il qualche modo un eventuale mantenimento della sua promessa di fermare l’eolico offshore. Il quale – come già detto – è chiaramente in contraddizione con gli interessi della Tesla. Vedremo, quando la festa per la vittoria elettorale sarà finita, quale santo risulterà essere stato gabbato.
Giuseppe Sacco