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Le radici profonde del discorso di Mattarella – di Antonio Secchi

L’Italia non è solo quella della scritta retorica del Palazzo della Civiltà italiana  all’EUR, ”un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”. Anzi,  oggi appare soprattutto nella sua normalità, descritta con cura dal Presidente Sergio Mattarella che nel suo discorso di saluto inaugurale al Parlamento , in dodici cartelle, non ha voluto dimenticare nessuno, quasi a ribadire che i veri protagonisti del Paese non sono gli uomini del Palazzo ma la gente comune, quella del Paese reale: medici, infermieri, personale sanitario, volontari, donne e uomini anonimi di buona volontà che stanno servendo gli italiani nel tunnel doloroso della pandemia e poi numerosissimi altri, tutti ricordati e rigorosamente ringraziati.

E l’Italia si è risvegliata, il giorno dopo il giuramento del Presidente della Repubblica, invece che rasserenata per lo scampato pericolo, in preda al suo solito vizio di piangersi addosso: le televisioni e i social soprattutto hanno testimoniato che è ormai vero ed evidente che siamo di fronte alla crisi dei partiti e del loro bipolarismo “obbligato”, che forse bisogna gettare la croce addosso ai leader, ma che anche i parlamentari non hanno fatto una gran figura con i loro 50 applausi e, infine, che il discorso del Presidente aveva evitato scogli pericolosi che erano diventati macigni nel recente settennato, vedi il tema giustizia.

Perché questo disfattismo che ha un sapore amaro di qualunquismo? E il gusto pericoloso di evocare presidenzialismi mascherati molto simili ai complottismi denunciati dai no-vax? Si tratta dell’Italia sfiduciata e delusa fotografata dall’ultimi Rapporto del CENSIS? Certamente i mezzi di comunicazione giocano un ruolo cruciale nei momenti di crisi e di smarrimento della gente se non si pongono il problema di fare memoria e di non incentivare orientamenti disfattisti che diffondono l’impressione che ogni faticoso passo avanti della politica debba sempre essere bollato con il titolo infamante di INVANO.

Così accade che quanto di buono si è fatto, viene dimenticato velocemente e che, con la mancanza di memoria, tutto il cammino percorso dalla nostra democrazia sembra avvenuto invano. Quindi che dire dei commenti televisivi e giornalistici del discorso del Presidente Mattarella? Si può concedere che l’informazione odierna esige celerità e sintesi ma alcuni interrogativi andavano posti all’opinione pubblica a cominciare dalla domanda cruciale : perché proprio Sergio Mattarella? Eppure  il discorso pronunciato dal Presidente costituisce un evento storico rilevante, al di là della velocissima cronaca che non è in grado di riassumerne i numerosi significati e di intravederne le profonde radici.

Non appare sorprendente affermare che il contenuto delle 12 cartelle del discorso del Presidente non sarebbe comprensibile fuori dalla storia del movimento dei cattolici democratici in Italia, dalla nascita del popolarismo di Sturzo, alla loro presenza in Costituente e alla egemonia democristiana del secondo dopoguerra avviata da De Gasperi e consolidata da Moro fino alla tragedia del 1978. Da quella data la storia del Paese cambia profondamente e la Democrazia Cristiana si avvia allo scioglimento nel 1994, anno considerato l’avvio della Seconda Repubblica, inaugurato con l’ascesa a Palazzo Chigi di Berlusconi.

Sergio Mattarella ha compiuto 80 anni, ma è dal padre Bernardo, popolare della prima ora, che ha appreso la lezione di don Luigi Sturzo e a seguire la conoscenza paterna di Aldo Moro negli anni della FUCI. Questa importante eredità ha segnato profondamente anche il fratello di Sergio, Piersanti, che, all’interno della DC, si identificherà proprio con la corrente morotea fino alla sua morte avvenuta a soli due anni dall’eccidio di via Fani e dalla scoperta del corpo di Moro in via Caetani  il 9 maggio 1978.

Il presunto delitto di mafia  che ha fatto perdere la vita a Piersanti Mattarella è oggi al centro di clamorose indagini che stanno confermando significativi indizi di influenze della P2 di Licio Gelli in questa tragedia, in quella di Pecorelli e del Generale Dalla Chiesa. Sergio, orientato agli studi accademici e all’insegnamento universitario, dopo la morte di Piersanti, sente il dovere di raccoglierne il testimone e di impegnarsi in politica giocando il ruolo del riformatore della Democrazia cristiana palermitana fino a condividere il percorso di rinnovamento di Leoluca Orlando e dei padri gesuiti Sorge e Pintacuda.

Sergio Mattarella è stato confermato in Parlamento per numerose legislature ed è stato anche Ministro mentre ha seguito il tormento della diaspora passando dal Partito Popolare alla Margherita di Rutelli e approdando al PD di Veltroni sulla scia delle suggestioni della “Democrazia dei cristiani” di Pietro Scoppola. A questo punto Mattarella lascia spazio ai più giovani, torna ai suoi studi giuridici ma nel 2011 viene eletto Giudice Costituzionale e nel 2015 Presidente della Repubblica. Con Sergio Mattarella al Quirinale per i cattolici italiani c’è un motivo di orgoglio in più che si accentua nella riconferma al secondo settennato. Risulterebbe improprio dire che moriremo democristiani perché la storia non si ripete, ma il fiume carsico delle culture può tornare a scorrere.

La Costituzione italiana è stata la figlia di tre culture: la liberale, quella cattolica e quella socialcomunista. I partiti che le hanno incarnate non ci sono più e quelli nuovi sono ancora alla ricerca d’autore nella società liquida e post ideologica. Ma se i partiti si estinguono non è detto che tocchi la stessa sorte alla cultura politica della loro origine. Si può dire che avremo un cattolico democratico al Quirinale per altri sette anni ma la questione cattolica, quella nella sostanza della stessa cultura cattolica in politica attende ancora una soluzione.

Un noto quotidiano nazionale, con il solito piglio laico e laicista, ha pronosticato o meglio auspicato un rivolgimento della Chiesa Cattolica rispetto al triste periodo della diaspora e un suo colpo d’ala, in occasione del Sinodo sulla Sinodalità, orientato a sinistra. Sono letture incapaci di distinguere il religioso e il politico, ma certamente non sono estranee ad autorevoli convincimenti espressi nel caso da Gianfranco Ravasi che ha sintetizzato la Sinodalità con una breve espressione: la Chiesa deve camminare unita nella storia. Nel frattempo le storie politiche italiane si accontentano anche di meno suggestioni. Dai “sussurri e grida” di correre tutti al centro, poco male se la cosa si risolve in un mero calcolo geometrico cioè di distanziarsi da una destra sovranista, o da una sinistra ancora toccata da rincorse populiste. I problemi del Paese verranno dopo come pure la consapevolezza delle “cose” da fare come le chiamava  Aldo Moro.

Forse è utile il suggerimento partito dal PD di rileggere il discorso di Mattarella e di farne una sessione di approfondimento: potrebbe essere l’occasione per i partiti di acquisire una seria scaletta del programma pre-elettorale dell’anno della prova, il 2023. E al ruolo dei partiti il Presidente ha dedicato parole chiare sollecitandoli ad intercettare le domande dei cittadini e delle forze sociali. “Talvolta il partito è più uno schermo che un efficace canale di comunicazione…so quanto pesino la grettezza e l’esteriorità, quali cagioni di delusione sia la vuota forma di una realtà, in sé, profondamente vera ed umana. Vi sono sempre molti pronti a mescolare l’interesse con il bene comune. Non bisogna guardare in questa direzione ma alla propria coscienza, al proprio limpido impegno morale prima che politico”( Aldo Moro;4 aprile 1972 lettera ad uno studente).

Se già negli anni settanta il partito che raccoglieva la gran parte dei voti cattolici cominciava a scricchiolare e se Moro insisteva, dopo una lettura attenta del 68, ad imboccare la strada del cambiamento ed incitava ad essere alternativi a sé stessi, cosa si deve consigliare ai partiti di oggi reduci disarmati del fallimento del bipolarismo e delle politiche della Seconda Repubblica? Può essere di buon auspicio il saluto di Mattarella a Papa Francesco nel finale del suo discorso accompagnato da un pacato, ma convinto applauso del Parlamento. Si manifesta un paradosso all’italiana: nel complesso giovanilista della politica italiana ci si convince ad applaudire il Papa nel pantheon dello Stato laico, un Papa che ha la stessa età del Presidente Mattarella. Sarà vero quello che dice Stefano Zamagni: solo Papa Francesco sta dicendo cose coraggiose?

Antonio Secchi

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