La Lega sta continuando a cambiare pelle. Con Matteo Salvini è andata diventando sempre più un partito della destra italiana. Il Nord non è più l’unico collante e, probabilmente, non rappresenta più nel disegno salviniano quel filo capace di attraversare gli elettori delle vecchie forze politiche contro cui  il Carroccio era nato riuscendo a richiamare i voti degli imprenditori e della classe operaia. Salvo poi allearsi a lungo con Silvio Berlusconi che se, da un lato, portò una novità con la sua Forza Italia, non esitò, dall’altro, a richiamare una certa parte di quella nomenclatura che Bossi disprezzava e bollava tutta, indistintamente, come “Roma ladrona”.

Nel marzo del 1993 l’on Luca Leoni Orsenigo, allora ancora nella Lega di Umberto Bossi, mostrò un cappio nell’aula di Montecitorio. Quel gesto fu uno dei simboli della stagione delle cosiddette Mani pulite. Come le dirette delle allora reti Fininvest dinanzi al Tribunale di Milano e tante altre immagini: ad esempio, i volti di gente della politica poi riconosciuta innocente. Tutto servì a creare un clima da  anti politica che ancora continua perché non si è cambiato proprio niente. Anzi, si è persino impoverita la qualità della dirigenza politica, si è interrotto il legame tra eletti ed elettori, si è dato vita a una “personalizzazione” della competizione inventando dei leader che, un tempo, avrebbero al massimo fatto il segretario di sezione di uno dei partiti della Prima repubblica.

Dopo quel cappio, qualche condanna e molte assoluzioni. Tante persone, con il solo torto di essere parlamentari, vissero la gogna, mediatica e giudiziaria. Si ritrovarono travolte non perché dovessero rispondere di proprie singole responsabilità, ma perché vittime di una fase cruenta di passaggio verso un sistema che non ha risolto il problema della corruzione politica.

Anzi, dovremmo avere il coraggio di riconoscere che quel cappio, così come il lancio delle monetine contro Craxi, cosa organizzata soprattutto da neofascisti poi ritrovatisi travolti da scandali altrettanto gravi per ruberie da loro commesse in ambito locale, ma non per questo meno gravi, servì solo a puntare l’indice contro il ceto politico di allora e a far scomparire i grandi partiti popolari che avevano dato vita alla democrazia italiana, ma senza che questo portasse poi ad un processo autentico di moralizzazione. Sia dei politici, pure quelli leghisti, sia degl’italiani.

Molta acqua è passata sotto i ponti. Anche i 49 milioni che la Lega deve restituire. Le tante, troppo, vicende in cui sono rimasti invischiati parlamentari e amministratori locali del partito di Bossi, prima, e di Maroni e Salvini, poi. Semmai, dobbiamo registrare un “crescendo rossiniano” fatto, come ci stanno dicendo le cronache, di un giro verticoso di bonifici, di “strane operazioni” condotte nelle regioni guidate dalla Lega e di altro che dimostra come, in fondo, alcuni leghisti pensino di poter fare di tutto impunemente, solo perché ricevono un consenso elettorale.

Il Covid-19 ha messo in piena luce tutti i limiti di un sistema sanitario della Regione Lombardia assolutamente deficitario e si dovrà pur giungere un giorno a valutare quanto sia stata sbagliata l’impostazione pluridecennale che, in quella regione, ha mortificato la sanità pubblica e favorito quella privata e, quindi, distrutto i presidi territoriali che oggi tutti, all’improvviso, scoprono.

Sotto il ponte, così, stanno pure passando questioni tutte ancora aperte quali sono quella in cui è coinvolto Luca Savoini, passata alle cronache come “Moscopoli” e, fresca fresca, ciò che tira in ballo direttamente il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e la sua famiglia.

Noi non agitiamo alcun cappio. Abbiamo, invece, un rispetto sostanziale di coloro di cui non condividiamo molto del pensiero politico. Anche in politica non ci si deve mai dimenticare che abbiamo a che fare con altri esseri umani. Ciascuno capace di far convivere in se stesso grandezze e meschinità, sentimenti e carenza di sensibilità, generosità ed opportunismi.

Giustamente, pochi giorni or sono, Domenico Galbiati ha spiegato che noi non crediamo nel fatto che le questioni politiche debbano essere risolte nelle aule dei tribunali ( CLICCA QUI ). Là, alla sbarra, devono finirci persone chiamate a rispondere di eventuali reati commessi personalmente, non certo opinioni politiche.

Quel cappio del ’93, invece, dimostrò una pratica dura a morire tra gli esseri umani, in generale, e tra gli italiani, in particolare. Cioè quella che finisce per confondere gli operati di un singolo con un intero sistema. E’ questo che dev’essere cambiato. Lo ha fatto la Lega? Ha cambiato davvero le cose dove comanda direttamente grazie ai voti ricevuti o dove ha importanti influenze? Quelle accumulate nel corso dei decenni, vuoi perché parte delle maggioranze di turno a guida centrodestra, vuoi per la partecipazione alle spartizioni in cui è coinvolta anche l’opposizione, cosa cui ci ha da tempo abituato la politica italiana.

E’ evidente come la foto di quel cappio mostrato dall’on Leoni Orsenigo sia stata tolta dall’album di famiglia dei leghisti. La si è lasciata sbiadire, ma non a seguito di una riflessione profonda capace di andare al fondo dei meccanismi che regolano la cosa pubblica, le responsabilità della politica e il dovere di concepirla come servizio più che come occasione di predazione, singola o di gruppo.

Sappiamo che molti cattolici votano Lega. A nostro avviso sbagliano per quella visione “egoistica” che sottostà al pensiero leghista, oltre che per il ritrovarsi oggi il partito di Salvini su posizioni del tutto avulse dalla storia del Paese i cui progressi sono stati raggiunti grazie alle relazioni vive e aperte verso il contesto internazionale, a partire da quello europeo, al solidarismo, al dinamismo mentale e all’attitudine al dialogo e alle mediazioni.

Sbagliano soprattutto se non chiedono anche ai politici leghisti una coerenza tra il dire e il fare senza limitarsi al bacio di qualche rosario.

Giancarlo Infante

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