Le elezioni amministrative e per il referendum del 12 giugno ci presentano un dato preoccupante: una elevata astensione che rischia di consegnare il Paese a minoranze organizzate. È stato anche un variegato laboratorio che, in parte, prepara le politiche del 2023. Per quelle elezioni i giochi sono ancora tutti da fare, considerando i programmi ancora da definire nei partiti e nelle coalizioni, legge elettorale adottata, alleanze, situazione economica e sociale del momento.
I partiti devono radicarsi su tutto il territorio nazionale e fare congressi per definire la linea politica contenendo scissioni, riconoscendo il pluralismo interno. La forma-partito è in crisi ma non esiste alternativa a soggetti politici europei e nazionali con leadership collegiali ed autorevoli. I leader solitari e temporanei come meteore non sono utili. I veri leader non seguono i sondaggi ma una visione di Paese ed una linea politica coerente. Convocano congressi per risolvere democraticamente conflitti di idee ed elaborare progetti a medio e lungo termine. Andrebbero tolti i nomi dei segretari attuali dal simbolo di partito per dare dignità alla politica ben oltre i comitati elettorali. Essi rappresentano tre grandi tradizioni, liberale, popolare e socialista, che andrebbero aggiornate ai tempi nuovi. ” Dei partiti c’è bisogno, perché non vi è altro modo con il quale la società possa dialogare con il governo, la piazza farsi ascoltare dal palazzo. Ma i partiti devono ridiventare forze vive, uscire dagli schemi consueti e interrogare la nuova realtà, intercettare una domanda di politica tanto viva quanto insoddisfatta, selezionare nuovo personale, fare programmi, individuare chi sappia tradurli in realtà.” (Sabino Cassese, Corriere della sera, 2 giugno 2022).
Per questi motivi è urgente uscire dalla situazione fotografata in modo chiaro da Sofia Ventura come: ” Leader senza partiti, partiti senza leader”. (Rivista di politica, 01/ 2022, p.5). È vero che le leadership contemporanee mostrano inadeguatezza di fronte alle sfide globali in tutto il mondo, ma in Italia questa ha raggiunto livelli gravi, come in occasione dell’ennesimo Governo del Presidente con Draghi e della riconferma di Mattarella come Presidente della Repubblica. Osserviamo leader di partito che in realtà guidano davvero poco. Afferma la politologa Ventura: “Ma che cosa manca a questi capi di partito così confusi? Con un paradosso, potremmo dire: un nesso efficiente tra leader e partito. Perché se li osserviamo da vicino, vediamo che nessuno di loro è espressione di una comunità politica organizzata preesistente, che ad un certo punto li ha riconosciuti come capi in virtù del loro percorso nel partito e come tali li ha scelti attraverso procedure consolidate e continua a operare in sintonia con loro.”
La politica italiana è innegabilmente in uno stato di crisi. I partiti populisti vincitori nel 2018 stanno perdendo consensi nel passaggio dalla pars destruens a quella construens. È ora di porre mano ad una seria Riforma condivisa dello Stato, per rendere più stabili le istituzioni politiche e restituire alla politica una capacità di guidare economia e finanza dopo la globalizzazione sregolata. Dobbiamo uscire dalla logica tecnocratica dei Governi del Presidente.
Bisogna riflettere sulla necessità di un finanziamento pubblico dei partiti. Occorre ripensare gli spazi della partecipazione collettiva utilizzando gli strumenti della democrazia deliberativa, facilitando i processi decisionali nei partiti aperti ad associazioni ed enti del Terzo settore. I partiti sono in crisi soprattutto perché non ascoltando le voci della società, danno una lettura parziale dei bisogni e sono pertanto avvertiti lontani dai cittadini. Mostrano la difficoltà di adeguarsi al mutamento sociale. Questa incapacità di cogliere il cambiamento contribuisce a logorare le forme della rappresentanza politica. Altro aspetto: lo spazio politico si è ristretto: la gran parte della popolazione presenta bisogni e aspettative simili. La concorrenza tra partiti, guidati dai sondaggi, si svolge spesso in ottica di breve periodo mediante bonus ed altre agevolazioni.
La speranza è nella riscoperta dell’art. 49 della Costituzione e nell’approvazione di una legge che garantisca il ” metodo democratico” nella vita interna per ” concorrere a determinare la politica nazionale “. Così gli schieramenti in difficoltà potranno snellirsi, ricollegarsi alle forze vitali della società, al mondo della cultura dal quale trarre ispirazione per l’evoluzione delle correnti del pensiero politico riformista, progressista o conservatore, di destra, centro o sinistra.
Dopo Tangentopoli, ci siamo illusi che il ceto politico potesse cambiare mediante l’azione esterna della Magistratura. Le cose sono andate diversamente ed oggi ci troviamo con partiti personali o in crisi di identità. Abbiamo tempo, fino alla primavera 2023, per mettere mano ad una robusta autoriforma dei partiti e ricomposizione degli schieramenti su progetti alternativi di crescita del Paese, in unità con le grandi famiglie politiche del Parlamento europeo: liberali, socialisti e democratici, popolari, conservatori, ecologisti.
Silvio Minnetti
Pubblicato su Città Nuova (CLICCA QUI)