I focolai di guerra si accendono sempre più numerosi nel mondo e non è certo un caso che si espandono in aree geopolitiche vitali per i traffici e per i giacimenti di materie prime e risorse energetiche.
I porti italiani aspettano navi che non arrivano: hanno dovuto circumnavigare l’Africa invece che transitare attraverso il Canale di Suez, oppure i viaggi sono stati cancellati. I passaggi dal Mar Rosso e dal Canale sono ridotti da quattrocento a poco più di duecento al giorno. Per non dire dei prezzi dei noli e delle assicurazioni sui carichi marittimi in vertiginosa ascesa.
Il nostro è un Paese che esporta prodotti per un valore pari al quaranta per cento del PIL, e con i porti in crisi emerge la fragilità delle connessioni stradali e ferroviarie con l’Europa. Naturalmente, delle guerre in corso ne risentono anche le importazioni in particolare di materie prime e di risorse energetiche. Ne consegue che i prezzi sono di nuovo in tensione e le forniture di gas dal Qatar, secondo produttore al mondo, sono addirittura a rischio non solo per noi, ma per tutti i Paesi europei. Naturalmente per motivi politici.
Lo stesso ultimo bollettino economico della Banca d’Italia, non certo di parte, parla di “elevati rischi al ribasso dell’economia mondiale derivanti dalle tensioni politiche internazionali, in particolare in Medio Oriente “(Banca d’Italia. Bollettino economico n. 1, gennaio 2024). Anche l’economia tedesca è in rallentamento e pone problemi alle nostre piccole e medie imprese del nord. Ben oltre il linguaggio prudente della nostra Banca centrale assistiamo tutti i giorni agli elevati rischi crescenti dove persino i rapporti tra Iran e Pakistan in questi giorni sono stati regolati a cannonate.
In tutto questo scenario di tensioni, di economia a rischio e di risorse limitate prorompe il problema della sicurezza in Europa, al quale non eravamo certo abituati con l’ombrello americano che ci assicurava la copertura. Ma la vicenda della guerra in Ucraina che incancrenisce e la Russia, la quale non tollera di avere la NATO ad un tiro di fucile da San Pietroburgo, hanno cambiato la realtà, simile a quella delle ambizioni zariste sul Baltico. Le intenzioni di ripetere l’aggressione alle repubbliche baltiche troveranno motivi con la scusa di proteggere i cittadini russi (come è avvenuto per l’Ucraina) e di ampliare il corridoio di Suvalki, il lembo di terra che collega la Bielorussia all’oblast russo di Kalinigrad, tra Polonia e Lituania.
I paesi oggetto di questo disegno appartengono a pieno titolo all’alleanza atlantica e solo questo limite dovrebbe scoraggiare qualsiasi avventura. Ma alla fine le carte sono distribuite da Washington: che cosa potrà accadere se alle prossime elezioni presidenziali dovesse vincere Trump che ha già dichiarato essere la NATO un ferro vecchio da abbandonare e quanto all’Europa che “dovrà pensare da sola alla sua difesa.”?
Ecco ancora una volta l’esigenza di qualche cosa di più del coordinamento tra le forze europee, già di per sé complesso. E’ tempo, se non già trascorso, di pensare a un esercito europeo.
In questo quadro i sovranismi, alla maniera di Orban, della Le Pen, delle destre tedesche e di qualche amico italiano, rischiano di portare ad una inerzia pericolosa.
Guido Puccio