L’amico Ettore Bonalberti ricorda che il Centro per esistere ha bisogno di una nuova legge elettorale proporzionale.

Anche noi, da sempre, vogliamo una nuova legge elettorale. E per questo stiamo partecipando alla raccolta delle firme per l’abrogazione del cosiddetto Rosatellum (CLICCA QUI). Indipendentemente  dal riuscire ad andare alle urne per un auspicabile referendum, riteniamo necessario lasciare aperto questo tema che vediamo costituire motivo di imbarazzo anche per molti dei partiti che parlano di cambiamento.

Il bipolarismo ha distrutto la capacità di ragionare politicamente da parte dell’intero Paese; ha dilapidato il patrimonio rappresentato dal rapporto tra eletti ed elettori e, quindi, la capacità di rappresentazione di tutte le istanze proprie della intera Società civile; ha riempito il Parlamento e i governi di rappresentanti “nominati” totalmente deresponsabilizzati nei confronti del corpo elettorale, ma strettamente ingabbiati nel rapporto di sudditanza stretto con i “cerchi magici”, di vario colore e di varia natura, sorti attorno ai vari capo partito di organizzazione in buona parte “personali”.

Ecco perché noi siamo per un sistema elettorale proporzionale, magari definito sulla base di primarie, o comunque di scelte dal basso delle candidature, in grado di rigenerare la politica e i partiti perché, soprattutto, si pensa alla ricostruzione di un rapporto tra chi è chiamato a responsabilità politiche ed istituzionale sulla base della ricostituzione di una relazione con i territori.

Però, il discorso di Ettore è da condividere con una chiosa. Le successive esplosioni di Lega, 5 Stelle e di Giorgia Meloni, avvenute in pieno bipolarismo, smentiscono l’idea che l’avvio di una importante proposta politica dipenda in esclusiva dal cambio della Legge elettorale e che, quindi, solo per essa sarebbe possibile pensare alla rinascita di una forte area centrale, quella che già tanto tempo fa definimmo un “baricentro” politico e sociale.

Il varo di una nuova legge elettorale è sicuramente condizione necessaria, ma non indispensabile in senso assoluto. E facciamo attenzione che la mancanza di una riforma del sistema di voto non continui ad alimentare un alibi. Su che cosa? Sul fatto che possa continuare a giustificare il sottrarsi a quello che, oggi, non domani, costituisce il vero problema e la vera nostra sfida: offrire al Paese una prospettiva di autentica trasformazione.

Del resto, dopo anni di attesa alla Godot, è necessario non farsi soverchie illusioni visto come anche le opposizioni continuano a muoversi seguendo la logica del bipolarismo. Anche per loro è più facile affidarsi al logorio del tempo, che tocca a tutti, e toccherà anche a Giorgia Meloni, piuttosto che gettare il cuore oltre gli ostacoli e superare la “melina” in cui sono impegnate.

Lo abbiamo ricordato varie volte, in fondo, anche alla sinistra e alle altre opposizioni va bene accettare il corso corrente, nel senso che sanno che prima o poi toccherà anche a loro tornare a Palazzo Chigi. E anche il disimpegno della Cgil dalla raccolta delle firme per il referendum contro il Rosatellum lo sta indirettamente a confermare.

Il secondo aspetto da chiosare all’intervento di Ettore Bonalberti, ma anche tanti altri amici popolari che attendono lo “stellone” della riforma elettorale, è che l’altra domanda da porsi riguarda l’idea di Centro. In molti interventi letti in questi anni sembra di capire che si pensi ad una entità che si limiti, come i Caschi blu, di cui parlava qualche giorno fa Domenico Galbiati su queste pagine (CLICCA QUI), a costituire una forza di interposizione tra questa destra e a questa sinistra. Con il rischio, magari, di tornare alla vecchia politica dei “due forni”.

Ma i tempi sono cambiati e il contesto internazionale e i problemi del Paese richiedono ben altro e cioè la creazione di un’area nuova fatta da cattolici popolari e non intenzionati a creare un’autentica “Alternativa popolare e democratica”, ponendo sul tavolo il tema della “trasformazione” e dei nuovi strumenti con cui il popolo italiano possa affrontare l’attuale complessità del mondo.

E’ una scelta di cultura politica, di rottura totale con i vecchi schemi seguiti negli ultimi trent’anni, forse difficile e dura da mettere in campo, ma che al momento appare l’unica via possibile in un contesto in cui in pochi credono in quel cambiamento richiesto, invece, dalla maggioranza degli italiani.

Giancarlo Infante

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