Ci saranno pure vaste, sterminate praterie al centro, come molti, forse non a torto, sostengono, ma – come su queste pagine andiamo sostenendo da tempo – al di là della traversata non c’è l’Eldorado, cioè ’lla mitica terra dove abbonda l’oro del “centro” e della “moderazione”. Ambedue categorie che appartengono ad un’altra epoca, ad una differente storia, le quali, per quanto si cerchi di rimaneggiarle perché siano adatte anche ai giorni nostri, non reggono il peso di una vicenda che pretende una diversa lettura.

Il nostro attuale sistema politico, bipolare, maggioritario, per forza di cose fieramente polarizzato, soffre di una patologia strutturale che esige una trasformazione – come sostiene il nostro Manifesto fondativo (CLICCA QUI) – e non un qualche aggiustamento più o meno occasionale.

Il “centro”, come per lo più  lo si intende, non può nascere e, se nascesse, cambierebbe poco o nulla, perché lo si concepisce come fosse un esercito – grande o piccolo, poco importa – di “caschi blu” della politica. Cioè una forza di interposizione che, collocata tra i due contendenti – a costo di prendere botte dall’una e dall’altra parte, oppure, al contrario, lucrare, di qui e di là , qualche vantaggio – dovrebbe rendere meno cruento lo scontro diretto tra i due antagonisti.

In effetti, finirebbe, invece, per asseverare e ribadire la fisionomia del sistema, che continuerebbe, così come già succede, a vivere della reciproca delegittimazione tra le parti. Infatti, un tale “centro” o finirebbe per essere una sorta di Giano bifronte, cioè almeno bicefalo e, quindi, diviso, attratto ed arruolato un po’ dall’una, un po’ dall’altra parte e, dunque, assimilato al sistema bipolare e vanificato. Oppure dovrebbe, infine, come un tutt’uno, aggregarsi ad uno dei due primattori, rientrando di fatto nella logica che lamentiamo, anziché contraddirla alla radice.

Peraltro, se fosse “equidistante” dalla destra e dalla sinistra – altra variazione sul tema di cui si va dicendo da qualche tempo – di fatto la sua posizione finirebbe per essere, geometricamente, una variabile dipendente dalla dislocazione che l’uno o l’altro dei due principali attori assumesse. E il gioco non varrebbe la candela.

In verità, una dialettica almeno tripolare sarebbe sicuramente un passo avanti, favorirebbe un’articolazione più aperta, meno scontata del confronto politico, ma difficilmente assumerebbe un carattere strategico, piuttosto che esaurirsi in una sorta di tattica dei due forni. Insomma, ci vorrebbe piuttosto una coalizione popolare e liberal-democratica che, insediando non nel mezzo, bensì al di fuori dal perimetro del sistema maggioritario, ne sapesse sviluppare una critica serrata.

Perché il nostro Paese possa uscire dal grigiore sterile di una contrapposizione che spinge troppi cittadini, si potrebbe dire, in senso benevolo, verso una postura “extra-parlamentare” – cioè di sostanziale inerte indifferenza nei confronti della democrazia rappresentativa – sarebbe necessario che le forze politiche facessero un atto di fiducia nei confronti degli italiani, Accettassero, cioè – ma non avverrà, a meno di una forte spinta da parte della società civile – attraverso una nuova legge elettorale proporzionale, di misurarsi davvero con i cittadini sulla base della visione culturale e politica che connota, specificamente, ciascuna di esse.

Al contrario, preferiscono ingrottarsi l’una nell’altra, dando vita ad alleanze sghembe che, per un verso, rispondono ad una logica di potere, per altro verso, dispensano dall’onere di sostenere posizioni puntuali ed esplicite su molti temi di difficile definizione, che vengono rinviati ad una sovraordinata volontà collettiva dei contraenti il patto.

Cosie, per quanto riguarda la “moderazione” che continua ad essere un valore importante quale criterio di adesione alla dimensione oggettiva delle questioni da affrontare, ma, in questo nostro tempo, deve pur fare i conti con argomenti che esigono prese di posizione chiare, coraggiose e distinte.

Domenico Galbiati 

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