Lo sapevamo tutti che prima o poi la crisi sanitaria avrebbe avuto conseguenze esasperate anche sul piano sociale. E’ normale che l’emergenza prolungata provochi proteste e contestazioni e che lo stesso confronto politico lo rilevi, anche per via dei soliti opportunisti sempre pronti a speculare sul disagio.

D’altra parte le pressioni che cominciano a manifestarsi anche nelle piazze devono fare i conti con la terza ondata dell’epidemia di Covid 19 e con lo scetticismo delle autorità sanitarie che raccomandano prudenza.

“Primum vivere” diceva Thomas Hobbes, il filosofo inglese del Seicento e non è difficile capire il risentimento che sconvolge di migliaia di piccoli operatori, dal bottegaio all’artista; come il silenzio preoccupato dei titolari di imprese che assistono allo sfiorire della loro attività per un tempo che ormai si protrae da oltre un anno o la disperazione del milione di lavoratori che hanno perso il posto.

L’illusione è nella convinzione che sia sufficiente superare le zone rosse, arancioni o gialle per tornare rapidamente come prima. Ma non è così: i virologi più seri ci dicono che dovremo convivere a lungo con i ritorni della pandemia e gli economisti avvertono che le conseguenze delle barriere intervenute su produzioni e traffici lasceranno il segno.

Una analisi autorevole e ben scritta di quanto attende il mondo delle imprese è ancora un dossier pubblicato in rete (purtroppo per ora solo in lingua inglese) dal “Gruppo dei Trenta” (“Reviving and Restructuring the Corporate Sector post Covid”) meglio noto con l’acronimo “G 30”.  Il gruppo, composto da accademici, banchieri e alti dirigenti di impresa, è coordinato da un team del quale fanno parte Mario Draghi, Jason Furman dell’Università di Harvard, l’ex governatore della Banca Centrale indiana e il ministro del Tesoro di Singapore. Nei gruppi di lavoro che lo hanno preparato figurano altre personalità, tra le quali il governatore della Banca Centrale cinese.

Dopo alcune premesse dove si evidenzia l’urgenza di interventi, poiché la “crisi di solvibilità sta già erodendo la forza delle imprese in alcuni Paesi” e non si dimenticano le preoccupazioni per i livelli di spesa pubblica che la crisi ha imposto, il documento stabilisce alcuni principi fondamentali di intervento e propone una guida di scelte alle quali saranno chiamati i governi. Tra queste prevalgono la collaborazione tra pubblico e privato nel sostenere le imprese meritevoli nel lungo termine; la salvaguardia dei posti di lavoro anche nelle piccole medie imprese; la massima trasparenza degli interventi; la salute del mercato finanziario.

La formula di sforzo congiunto per l’impiego di risorse pubbliche e private per superare la crisi non è certo nuova, anche se sta acquisendo sempre più spazio nei programmi di politica economica e pone problemi non semplici di organizzazione.

Il nostro paese, a tale riguardo, ha già sperimentato numerose esperienze in materia, alcune decisamente positive ed altre francamente sconvenienti.

Certamente di successo possono ritenersi esperienze come quelle di Eni, Snam rete gas, Enel e altre nate pubbliche ma che sono state capaci di crescere e di attrarre capitale privato. Disastrosi sono invece stati altri interventi nati per salvaguardare genericamente i livelli di occupazione come quello di Gepi (anni 70) e per ora quelli di Alitalia, Ilva e altre che non hanno portato né a riconversioni industriali né tanto meno a salvataggi.

Eppure lo spazio per organizzare in modo virtuoso l’utilizzo di risorse pubbliche e private, e venire così incontro alle nuove esigenze post Covid, oggi esiste. Per le maggiori dimensioni, basate su concessioni, ci sono ancora settori dove il capitale pubblico e privato potrebbero dare vita a grandi imprese utili e profittevoli: si pensi all’acqua e allo smaltimento dei rifiuti, solo che si abbia la forza politica di superare gli interessi locali (e non solo) oppure alle autostrade ove è in corso un braccio di ferro tra Stato e interessi stranieri.

Per le PMI, dove la presenza dello Stato non è certo immaginabile, è tempo che in emergenza post Covid si abbandonino gli interventi a fondo perduto e si lasci spazio, incentivandolo, allo strumento dei fondi di “private equity” possibilmente di quelli seri. Sono fondi che anche avvalendosi di garanzie statali entrano nel capitale delle imprese ovviamente meritevoli, rispettano la gestione in capo all’imprenditore e dopo un termine di pochi anni consentono all’imprenditore stesso di riacquistare le quote o di cederle a terzi oppure di   portare la società in Borsa.

L’imminente Decreto Imprese che è stato annunciato potrebbe già tenerne in conto con una particolare attenzione.

 Guido Puccio 

 

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