“A Londra finalmente splende il sole e un’auto scura si muove velocemente verso Lancaster House in prossimità di Buckingham Palace”. Al suo interno c’è un personaggio importante, ospite d’onore di un club esclusivo di banchieri, uomini d’affari e politici. Il personaggio si chiama Mario Draghi, presidente della BCE. In quelle ore il mondo della finanza è in subbuglio e l’euro, sotto un violento attacco dei mercati, è appeso a un filo. E’ quando Draghi prende la parola che cambia tutto: la BCE farà qualsiasi cosa serva (“whatever it takes”) per difendere la moneta unica degli europei.
E’ questo in sintesi l’inizio del bel libro di Marco Cecchini (“L’enigma Draghi” Fazi Editore,2020) sulla figura tra le più stimate nel mondo dei mercati, dell’alta amministrazione e della finanza internazionale, ma in fondo poco conosciuto dagli italiani per le sue capacità e nei suoi tratti essenziali.
Pur avendo ricoperto a lungo una delle più alte cariche amministrative dello Stato ( direttore generale del Tesoro) e successivamente quella di Governatore della Banca d’Italia prima di diventare presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi è sempre stato lontano dalle frequentazioni e dai salotti romani, dalle interviste, dai talk show, e dai rapporti assidui con la politica. Il materiale a disposizione dell’autore non era quindi abbondante per una biografia di quelle alla moda che solitamente escono prima di Natale tutti gli anni. Invece Cecchini è riuscito a proporci un lavoro serio, non agiografico e lontano dalle tentazioni del pettegolezzo, arricchito peraltro da una prosa leggera, slanciata e di piacevole lettura.
Gli anni giovanile di Draghi sono condensati nella frequentazione del liceo classico dell’istituto romano dei padri gesuiti Massimiliano Massimo ( “ un alunno serio ma non serioso, socievole ma selettivo, non primo della classe ma diligente”) e poi nella facoltà di economia della Sapienza, allievo dell’indimenticabile Federico Caffè. Poi la cattedra a Firenze e la chiamata al vertice dirigenziale del Ministero del Tesoro da parte di Guido Carli e dell’allora Governatore Azeglio Ciampi.
E’ in questa prima esperienza di alto livello che matura il cosidetto metodo Draghi che non cambierà più: “identificare l’obiettivo; circondarsi di collaboratori funzionali; delegare; decidere dopo avere ridotto al minimo i rischi”. La sua imperscrutabilità porterà al ritratto fulminante che di lui ha fatto un noto banchiere olandese subito ripreso dal Wall Street Journal: “Non sai mai che cosa pensi dietro quella faccia da poker”.
Le prove del fuoco sono nell’anno forse più sconvolgente della cosidetta Prima Repubblica: il 1992. L’economia è in crisi, la lira cade, i tassi di interesse sono in fibrillazione, Cossiga si dimette, le inchieste di Mani Pulite spazzano via i partiti, si suicidano Gardini e Cagliari, la mafia uccide Falcone e Borsellino, lo spread va a settecento, l’Italia esce dallo SME. “Una concatenazione di eventi da far tremare le vene dei polsi a tutti. Ma non a Mario Draghi che mostrerà di possedere un sistema nervoso di acciaio”.
Pur muovendosi sempre nel campo della politica globale, Draghi non è mai sceso a compromessi con la politica politicante e la sua formazione economica pur vicina alle idee keynesiane non gli ha impedito di apprezzare anche l’antitesi, vale a dire le idee monetariste della scuola di Chicago. Eppure sa che la politica conta, tanto che anche nel momento più drammatico della crisi finanziaria, quando decide di intervenire con i massicci acquisti di titoli pubblici sul mercato secondario (il famoso Quantitative Easing) Draghi ricorda ai governanti europei che gli interventi monetari non bastano se non sono seguiti da politiche economiche attive, in primis le riforme.
Memorabili i suoi confronti con i due mastini tedeschi, Wolfang Shauble e Theo Weigel rispettivamente ministro delle finanze e governatore della Bundesbank, che alla fine hanno poi riconosciuto la competenza, la determinazione e la capacità di guida di Mario Draghi.
Non può meravigliare quindi che oggi c’è chi si immagina che come ha salvato l’euro Draghi potrebbe salvare l’Italia.
Guido Puccio