Liberamente tratto e tradotto da The Guardian
La decisione di Priti Patel, il ministro dell’Interno (del Regno Unito, ndt), di estradare negli Stati Uniti il fondatore di WikiLeaks Julian Assange dovrebbe preoccupare chiunque abbia a cuore il giornalismo e la democrazia. Assange, 50 anni, è stato accusato ai sensi della legge sullo spionaggio degli Stati Uniti, inclusa la pubblicazione di materiale riservato. Rischia fino a 175 anni di carcere se ritenuto colpevole da un tribunale statunitense. Questa azione potenzialmente apre la porta ai giornalisti di qualsiasi parte del mondo di essere estradati negli Stati Uniti per aver esposto informazioni ritenute classificate da Washington.
Il caso Assange nasce dopo la diffusione di centinaia di migliaia di documenti relativi alle guerre in Afghanistan e in Iraq, nonché cablogrammi diplomatici, che sono stati resi pubblici da WikiLeaks, in collaborazione con The Guardian e altri media. Hanno rivelato orribili abusi da parte degli Stati Uniti e di altri governi che, altrimenti, non sarebbero stati divulgati. Nonostante affermassero il contrario, le autorità statunitensi non sono riuscite a trovare una sola persona, tra le migliaia di fonti americane in Afghanistan e Iraq, che si possa dimostrare sia morta a causa delle rivelazioni.
Il signor Assange, noto per essere un personaggio brillante ma difficile, ha sofferto abbastanza. Fino al 2019 la polizia di Londra ha dovuto aspettare sette anni che uscisse dall’ambasciata ecuadoriana a Londra. Da allora ha trascorso tre anni nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh senza essere condannato per alcun crimine. Il signor Assange avrebbe dovuto essere comunque lasciato a piede libero per stare con sua moglie e i loro due bambini piccoli. Per seguirne le traccia, le autorità avrebbero potuto controllare elettronicamente.
L’uso della legge sullo spionaggio per perseguirlo va vista per quello che è: un attacco alla libertà di stampa. Come ha scritto Carrie DeCell del Knight First Amendment Institute nel 2019, quando è stato pubblicato il verbale di accusa, “sollecitare, ottenere e quindi pubblicare informazioni riservate … [è] ciò che i bravi giornalisti investigativi e di sicurezza nazionale fanno ogni giorno”.
La ministra Patel avrebbe potuto rifiutare la richiesta americana. La Gran Bretagna dovrebbe diffidare della concessione dell’estradizione di un sospetto in un paese che segue i criteri di una giustizia politica. Il suo predecessore Theresa May ha interrotto il procedimento di estradizione di Gary McKinnon, che ha hackerato il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Il Regno Unito avrebbe potuto considerare che Assange corre il rischio inaccettabilmente elevato di un isolamento prolungato in una prigione di massima sicurezza degli Stati Uniti. Invece, la signora Patel ha inferto un duro colpo alla libertà di stampa e contro la pubblica opinione che ha il diritto di sapere cosa stanno facendo i loro governi in loro nome. Non è finita. Il signor Assange farà ricorso.
Le accuse contro di lui non avrebbero mai dovuto essere presentate. Poiché Assange ha pubblicato documenti riservati alla luce del sole e non li ha fatti trapelare, l’amministrazione di Barack Obama era riluttante a sporgere denuncia. I suoi legali hanno capito correttamente che ciò avrebbe minacciato il giornalismo d’interesse pubblico. A fare invece questo passo è stata la squadra di Donald Trump che considerava la stampa un “nemico del popolo”. Non è troppo tardi per gli Stati Uniti per ritirare le accuse. In occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa di quest’anno, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha dichiarato: “Il lavoro dei media liberi e indipendenti conta ora più che mai”. Restituire la libertà ad Assange darebbe un senso a quelle parole.