Ma l’UE persegue ancora sul serio la concorrenza ? E la Commissione Europea è davvero ancora la “guardiana dei trattati”? Guardiana di quei trattati che nessuno dichiara di voler o poter modificare, ma che da alcuni anni sono sempre più spesso derogati ( pensiamo ai cd. “aiuti di Stato”) ? Sembrano domande provocatorie. Basti pensare alla retorica corrente sulle necessità della concorrenza e alla polemica contro le resistenze delle lobbies nostrane ad accettarla.
Le cose però cambiano se guardiamo ciò che succede entro la vicenda ormai più che decennale delle concessioni balneari italiane. E soprattutto se guardiamo ad alcuni suoi possibili esiti. come alla disciplina delle aste per l’assegnazione delle concessioni demaniali che si va profilando nella normativa proposta in Parlamento e in qualche modo concordata a Bruxelles.
Qualche sospetto sulle modalità e sulle finalità dell’accordo informale trovato a Bruxelles per la verità è già venuto a galla un paio di mesi fa. E’ il caso di un articolo dell’otto settembre 2024 del Corriere della Sera. L’articolo, comparso in una pagina interna e probabilmente poco notato, avanzava alcuni dubbi su aspetti quanto meno “strani” del disegno di legge governativo ( cosiddetto decreto infrazioni).
Si scriveva in quell’ articolo: “ Il disegno di legge governativo appena pubblicato non prevede alcun limite di attribuzione di concessioni a un singolo gruppo. E poiché le gare saranno basate anche sull’ offerta economica dei richiedenti ai Comuni , non è azzardato prevedere che di quella omissione ( sbadata?) si avvantaggeranno grandi gruppi anche internazionali del turismo provvisti di deep pockets e interessati a gestire ampi tratti delle nostre pregiare coste e così a spartirsele. Incombe insomma il rischio che da una struttura di mercato altamente pluralistica e sia pure troppo statica, da smuovere energicamente, si voglia passare ad una di tipo oligopolistico. ” (Gustavo Ghidini “Balneari concorrenza beffata”?, Corriere della sera, 8 settembre 2024, p. 24)
I sospetti paiono purtroppo confermati da chi ha cominciato a curiosare nei punti centrali del decreto citato. E’ necessaria una premessa. Notoriamente la “polpa” delle spiagge italiane – molto diverse da quelle francesi, spagnole, o croate, arrivate al turismo balneare, a parte qualche piccola eccezione in terra francese, un secolo dopo l’ Italia – localizzata soprattutto in Versilia e in parte anche in Romagna, Veneto e altre regioni, – è occupata da manufatti e costruzioni realizzate secondo tipologie tipiche e distinte per area che insistono sull’arenile dato in concessione ed è gestita spesso da famiglie che hanno mantenuto una continuità di tradizioni inter-generazionali di gestione e accoglienza. Come è anche naturale che sia laddove il turismo è motivato dalla “conservazione” di paesaggio, ambiente, tradizione, relazioni umane, comunità, diversamente da quanto legittimamente può perseguire un impianto balneare turistico del Qatar o del Bahrein, che mira essenzialmente a moltiplicare le capacità proprie di attrarre turismo e soprattutto investimenti e non credo abbia molto da “conservare” .
La nuova normativa prevede ora di mettere a gara le concessioni con un meccanismo di aste per la assegnazione/rassegnazione della concessione che tiene conto di queste costruzioni, anche se esclude quanto previsto a suo tempo dalla legge Draghi, vale a dire il riconoscimento ai concessionari eventualmente uscenti del “valore aziendale dell’impresa e dei beni materiali e immateriali , la professionalità acquisita” ( Matteo Tuccini, Così lo Stato guadagnerà dalle aste delle spiagge” ne: Il Tirreno, 1 novembre 2024, p. XI Cronaca di Viareggio) .
Il nuovo decreto fissa il principio dell’indennizzo ( peraltro rapportato all’ammortamento dei soli stimenti dell’ultimo quinquennio) e stabilisce che il privato che intenderà aggiudicarsi una spiaggia” dovrà offrire una cifra economica per l’indennizzo al balneare uscente. Che sarà risarcita in caso di sconfitta nella gara”( Matteo Tuccini, Il Tirreno, cit. p. XI).
Il valore dell’indennizzo sarà stabilito da un perito nominato dalla p.a. ma la ditta subentrante potrà andare a gara offrendo anche di più del valore dell’indennizzo stabilito. Un valore, quello stabilito, probabilmente spesso vicino allo zero, dati gli scarsi investimenti dell’ultimo quinquennio, in cui pesava sul settore l’incertezza delle prospettive. Ma- e qui è la ulteriore incredibile anomalia- la differenza tra indennizzo pagato e indennizzo fissato non andrà al balneare uscente ma allo Stato. E per quali motivi dovrà essere lo Stato a incamerare la parte, molto probabilmente, prevalente dell’indennizzo?
In effetti “la parte di indennizzo passata allo Stato….materializza il “chi offre di più” che in questi anni era stato escluso dal dibattito politico. Perché avrebbe di fatto estromesso i piccoli imprenditori” ( M. Tuccini, Il Tirreno, p. XI).
Il testo non lascia dubbi in proposito. La “Delega al Governo in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico -ricreative e sportive” della citata legge 5 agosto 2022 n. 118” A.C. 2038 XIX Legislatura al comma 9 dell’art. 4 recita: “Fermo l’obbligo per il concessionario subentrante di versare al concessionario cosiddetto uscente l’intero importo dell’indennizzo come sopra determinato ed espressamente indicato nel bando di gara, si precisa che il medesimo concessionario subentrante è tenuto, per contro, a corrispondere all’entrata del bilancio dello Stato (e non già all’ente concedente ) l’eventuale maggiore importo offerto in sede di gara e rilevante ai sensi del comma 6, lettera a ), della disposizione in commento ai fini dell’affidamento della concessione.”
Una parte, la Pubblica amministrazione, concede dunque all’ aspirante concessionario di avere buone chances di vincere la gara grazie alla possibilità di fare una offerta economica senza limiti, grazie cioè alla possibilità di operare un trasferimento di ricchezza “senza causa”, in realtà col fine inconfessabile ma evidente di “spingere l’asta” ; in cambio l’altra parte, il privato beneficiato, che trae profitto dall’acquisizione di una azienda già avviata, consegna allo Stato il sovrapprezzo che è stato lo strumento decisivo per eliminare il concorrente finanziariamente più debole. E’ un cinico do ut des che ben configura il disegno dei “falchi” di una presunta “concorrenza” che sembra legittimare uno scambio che introduce una prassi estranea al diritto privato, una sorta di “scambio improprio” di beni, come possono essere il voto di scambio o il traffico di influenze .
La clausola ora introdotta ha però un senso chiarissimo. Essa mira di fatto a consentire la concentrazione finanziario economica dell’offerta nelle mani dei più forti, che potranno recuperare l’investimento manovrando sui prezzi.
Il modello perseguito però più che europeo sembra il modello delle aste per le assegnazioni ai privati dei beni comunali all’inizio del 1800 nella Sicilia borbonica, magistralmente descritto nelle pagine di Mastro Don Gesualdo da Giovanni Verga. Un modello borbonico, va precisato, decisamente ed astutamente riformato in peius.
Nel racconto di Verga corre l’anno di grazia 1820 e ad agosto scade l’affitto dei terreni comunali. In genere vi sono famiglie nobiliari che fanno la parte del leone e che monopolizzano tradizionalmente le terre profittando della deferenza e del timore delle famiglie borghesi per non dire popolari in aste che sono in un certo senso “addomesticate”. Ma nel 1820 i giochi non riescono perché c’è qualcuno che non si contenta delle briciole, ed apertamente afferma di voler prendere tutto, mettendo a nudo il carattere strumentale e fasullo delle aste . E’ Mastro Don Gesualdo che vuole affermare la sua rivincita sul mondo nobiliare e fa diventare verdi di bile i suoi concorrenti, spingendo i valori dell’asta a livelli economicamente “impossibili” per gli altri, che non capiscono bene il senso di una sfida che pare irrazionale o autolesionista, dettata solo dalla testardaggine.
Ma il comportamento di Gesualdo ha una sua solida ragione economica, che egli non esita a confessare pubblicamente al notaio. “Piglierò in affitto le terre del Comune …e quelle della Contea pure…tutte quante, capite signor notaro? Allora comando ai prezzi e all’annata, capite? …Ve lo dico perché siete un amico e perché a far quel che dico io ci vogliono molti capitali in mano…Perciò spingerò l’asta fin dove voi altri non potete arrivare” (Giovanni Verga , Mastro Don Gesualdo, Parte II, cap. 1).
“Spingere” all’inizio l’asta dunque per eliminare i concorrenti, rispetto ai quali Gesualdo non accetta transazioni. Instaurare così una situazione di monopolio od oligopolio per assicurare il rendimento dei capitali investiti nell’acquisto. E’ il senso economico razionale dell’operazione realizzata. E la concorrenza cui doveva mirare l’asta pubblica dove è finita ? Come giustamente alcuni gli fanno notare.
L’unica differenza con le assegnazioni ai balneari è che nel decreto infrazioni c’è addirittura un incentivo statale a spingere l’ asta verso l’alto e quindi a creare di fatto situazioni economiche più favorevoli al competitor finanziariamente più forte.
Il combinato disposto dei due elementi sopra citati, vale a dire il mancato vincolo al numero delle concessioni aggiudicabili dal soggetto singolo e l’incentivo a fare offerte no limits per vincere le gare, realizza con ogni evidenza condizioni di favore solo per i grandi gruppi finanziari, per i deep pockets interessati ad accaparrarsi il cuore del turismo europeo.
Credo che una Commissione europea che avallasse queste procedure decreterebbe ipso facto la rinuncia ai principi europeisti. Bisognerebbe però cominciare a riflettere anche sulle differenze che vi sono tra una buona concorrenza e la legge o il diritto del più forte. Temo che la differenza non sia chiara oltre che ai politici, soprattutto a tanti cittadini comuni che non sono abituati a distinguere i beni-fine dai beni-mezzo, quale è la concorrenza. E a capire perché essa, come altre cose, abbia bisogno di una cultura dei limiti al potere economico . Limiti che non sembrano piacere più neppure a Bruxelles oltre che a Roma. Ma su questo c’ è un altro discorso da fare.
Umberto Baldocchi