A quasi sei mesi dalle elezioni europee, nel mese di novembre dovrebbe finalmente (!) completarsi la formazione della Commissione, una delle due principali istituzioni di governo dell’Unione. Data la sua fondamentale funzione di iniziativa legislativa (e non solo) è importante chiedersi in che direzione si orienterà la sua azione.
Molti segnali ci indicano che la Commissione guidata per il secondo mandato da Ursula von der Leyen sia sulla difensiva. Lasciando da parte la questione dell’Ucraina dove la parola “difensiva” assume tutto un suo speciale significato e che non tratteremo qui, limitiamoci a questioni che riguardano gli aspetti più salienti della politica interna della UE. Balza subito all’occhio come il tema dell’immigrazione irregolare (ma anche dell’asilo) occupi un posto di primo piano in questo periodo di transizione e che l’attenzione dei media si concentri sulle misure proposte e/o adottate dall’Unione e dai paesi membri singolarmente.
Come mai il tema ha questa prominenza quando molti sondaggi indicano che le problematiche economiche (costo della vita, occupazione, salari) sono invece al promo posto nelle preoccupazioni degli europei? Come mai, invece, in un’Europa che cresce molto poco o addirittura è stagnante in aree molto importanti le proposte di intervento siano su questo fronte così deboli? La spiegazione non è difficile. Le elezioni europee, poi quelle legislative francesi e alcune elezioni regionali tedesche hanno segnalato un forte risultato dei partiti sovranisti, che seppure non siano riusciti in nessun caso a raggiungere nuove posizioni di governo hanno eroso significativamente la forza dei partiti mainstream ed europeisti.
Per i partiti sovranisti il tema dell’immigrazione irregolare è come ben sappiamo il cavallo preferito di battaglia. Un tema che ben si presta a suscitare le paure e le reazioni identitarie di settori dell’elettorato e che può essere affrontato con slogan semplificati e con proposte di misure drastiche e facilmente comprensibili (deportazioni, barriere, ecc.), anche se alla prova dei fatti di non facile attuazione e certamente poco rispettose dei diritti umani che la UE ha come suo punto di riferimento. I partiti mainstream pur avendo conservato la maggioranza nel Parlamento europeo sentono il morso di questa concorrenza e sia a livello nazionale che europeo la loro più facile reazione sembra essere quella di inseguire i concorrenti. Scegliendo questa strada dimenticano però che l’imitazione difficilmente vince sull’originale. Inseguire i partiti sovranisti rischia di snaturare i partiti europeisti, mettere l’Unione Europea su una strada sbagliata e non ottenere per di più i risultati elettorali sperati.
La strada da seguire dovrebbe essere invece un’altra, cioè di puntare su una più vigorosa ripresa economica e su politiche sociali capaci di venire incontro ai bisogni delle fasce più deboli della popolazione, quelle proprio più suscettibili di rispondere al richiamo della foresta dei partiti sovranisti. Ma da dove possono arrivare queste politiche? In un momento in cui la più grossa economia europea, quella tedesca, è in una fase di stagnazione alla quale la coalizione attualmente al governo non sembra in grado di dare risposte efficaci per le sue divisioni interne e la debole leadership, e le due altre maggiori, quella francese e quella italiana, sono impegnate a rientrare nei livelli di deficit e di debito richiesti dalle regole europee e quindi non sono in grado di mettere in atto politiche economiche e sociali espansive, non possiamo aspettarci che sia il livello nazionale a dare l’impulso richiesto per una politica non regressiva. La risposta deve allora essere europea e basarsi su risorse che l’Unione metta a disposizione di investimenti infrastrutturali, ma anche di misure sociali a complemento di quelle indebolite degli stati nazionali. Poiché questo non si può fare semplicemente spostando risorse da un capitolo all’altro dell’attuale esiguo bilancio europeo, ma richiede, come peraltro indicato con forza nel Rapporto Draghi, un netto incremento della capacità di spesa della Unione, la strada del ricorso a debito europeo, in continuazione con quello messo in campo nel periodo COVID con il Next Generation EU (NGEU) che ha finanziato i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR), è oggi obbligata se non si vuole accettare una pericolosa involuzione dell’Unione Europea sotto i colpi di un regressivo sovranismo. Sarà questo nei prossimi mesi il test per capire se la nuova dirigenza europea è capace di rispondere alla sfida dei partiti della destra euroscettica.
Maurizio Cotta