Il taglio del numero dei parlamentari è francamente un’idiozia. Una bischerata, eppure non uno scherzo, bensì una faccenda da prendere terribilmente sul serio, senza perdere tempo e cullarsi nell’illusione che poi tutto si aggiusta.
Si apre una fase nuova nella vita del nostro ordinamento democratico e bisogna prenderne atto. E comportarsi di conseguenza.
Quel poco di dibattito tra “democrazia rappresentativa” e presunta democrazia diretta, “disintermediata”, digitalizzata che fin qui si è, più o meno, sviluppato sotto traccia, quasi fosse un “calembour” per pochi addetti ai lavori, va portato alla luce del sole ed affrontato di petto perché gli italiani si rendano conto della patacca che gli si vorrebbe propinare e siano posti in grado di giudicare in proprio, in piena autonomia di scienza e coscienza.
Altrimenti si fa tardi e rischiamo di trovarci a babbo morto, entro un sistema politico-istituzionale che – un po’ per volta, tra la demagogia di alcuni, la pigrizia imbelle di altri, il sarcastico “laissez faire” di altri ancora – vira verso approdi di involuzione democratica e civile per conto suo, quasi senza che ce ne accorgiamo.
La questione non è la maggiore o minore numerosità dei parlamentari, ma il valore simbolico per cui il taglio è stato programmato.
Lo sanno perfettamente, tra proponenti e sostenitori, almeno quelli che – bastano due neuroni e tutt’al più’ una sinapsi chi li connette – se la ridono della favola deprimente del “risparmio”. E pensano piuttosto ad altro.
Per carità, niente poteri forti o complotti internazionali, beninteso.
Basta un malinteso spirito del tempo; basta la sub-cultura dell’algoritmo e quell’incantamento un po’ catatonico
di fronte allo “splendore” della tecnologia che rappresenta la forma oggi più facilmente accessibile di regresso a quelle forme di pensiero magico che saltano fuori – ed in fondo non è poi così sorprendente – quando la fatica del concetto e della razionalità critica si fa troppo onerosa, come nella società polimorfa in cui viviamo.
Quali conseguenze possiamo attenderci? In qualche modo, lo abbiamo già visto a Montecitorio, appunto con la votazione plebiscitaria cui abbiamo assistito. E’ bastata la provocazione populista dei 5 Stelle ed il Parlamento non ha retto, genuflesso si è adeguato, quasi fosse politicamente decerebrato. Il che, in effetti, la dice lunga, per la verità, anche sul fatto che la democrazia rappresentativa che pur dobbiamo difendere con fermezza, ha pur bisogno di una diagnosi accurata e di adeguate terapie.
Altrimenti rischia di non reggere l’urto di una demagogia che magari ne preserva la facciata e le forme, pur di ridurla ad un rito povero di sostanza.
Non ha retto all’ assalto del populismo il PD che pur dovrebbe onorare almeno le vestigia delle grandi forze popolari che hanno scritto la Carta Costituzionale. Anzi, comincia ad essere decisamente preoccupante, in generale, l’inconsistenza di una forza che dovrebbe presidiare l’intero scacchiere di sinistra dello schieramento politico e non ce la fa, cosicché si genera una asimmetria ed uno squilibrio pericoloso nel sistema complessivo della rappresentanza.
Domenico Galbiati