In una campagna elettorale povera, ripetitiva e grigia, eppure attraversata dalla consapevolezza che si tratti di un crinale dirimente per il nostro Paese, molti si chiedono se esista o meno una “questione cattolica”. Senonché, i cattolici non rappresentano, né mai hanno rappresentato una “enclave”, una cittadella separata e distinta dalla collettività complessivamente intesa.

Per la verità erano, o sono tutt’ora, certi ambienti laicisti – loro sì “clericali” accecati dal pregiudizio – a ritenere che i cattolici dovrebbero vivere la loro fede nel foro interiore dello loro coscienza, ma, nel contempo, evitare di farne motivo di impegno pubblico. Qualche cervellotico accenno, in tal senso, lo abbiamo colto perfino tra le forze attualmente in campo. Al contrario, la vocazione popolare e democratica dei cattolici ha elevato la loro cultura politica ad asse portante della democrazia nel nostro Paese.

Il tema va, dunque, posto, se mai, in altri termini: se e come i cattolici – in quanto credenti e, dunque, ispirati ad una comune visione cristiana della vita – abbiano ancora, anche oggi, la capacità o meno di conferire al discorso pubblico, un apporto originale e specifico, che concorra ad una lettura appropriata del complesso frangente storico da cui siamo investiti. E questo, nella misura in cui – in modo particolarissimo in questa fase di transizione – siano in grado di declinare i principi che connotano la loro visione dell’uomo non in una chiave autoreferenziale che, sia pure, assolva e gratifichi la loro coscienza, bensì assumendo l’impegno di tradurre ciò in cui credono, i valori che hanno a cuore, secondo un linguaggio ed un’argomentazione che ne metta chiaramente in luce il rilievo umano ad essi connaturato ed intrinseco, sia pure a prescindere dal momento religioso, rendendoli, in tal modo, comprensibili e possibilmente accattivanti anche per chi provenga da altri lidi culturali.

Insomma, a fronte delle imponenti trasformazioni che ci investono, ai credenti compete l’onere di concorrere a costruire quel “nuovo umanesimo” che, da più fronti, viene invocato. L’ “arma segreta”, se così si può dire, che i cattolici possono offrire è quella visione “trascendente” dell’uomo, della sua vita e della storia che è connaturata al loro credo e rappresenta la cornice smarrita, la dimensione necessaria perché si dia senso, ordine e misura agli eventi che via via irrompono sulla scena di una storia che sembra accelerare il passo verso una frontiera, un tempo nuovo, che noi scorgiamo ancora avvolto dal velo oscuro di una nebbia minacciosa, eppure, con ogni probabilità, allude, purché ne reggiamo la sfida, ad un arricchimento, ora impensabile, dell’ umanità.

Si tratta di ripensare e riscoprire quella dimensione “integrale”, evocata da Maritain, la quale ovviamente nulla ha da spartire con una postura integralista, ma, piuttosto, consente di comporre in uno, senza contraddizione, moderazione e radicalità. Moderazione sul piano del metodo, intesa come capacità di applicare, al piano della politica, un uso vigilato e corretto della ragione. Secondo l’ ammonimento a saper “distinguere per unire” avanzato, anche in questo caso, da Maritain.

Radicalità, e non timidezza, sul piano dei contenuti da rivendicare, soprattutto dove sia messa in discussione la dignità della persona. Resta da approfondire se e come il pluralismo delle opzioni politiche che oggi attraversa, da un capo all’altro, il mondo cattolico, sia una dispersione deprecabile di quelle risorse civili che i cattolici hanno assicurato al Paese nella stagione della loro unità o se, al contrario, rappresenti un valore potenziale o una utile provocazione, attorno alla quale anche la comunità ecclesiale dovrebbe interrogarsi a fondo. ( segue)

Domenico Galbiati

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