Se non ricordo male un parlamentare che si dice democratico-cristiano – di cui mi scuso di non ricordare il nome – ha dichiarato in più occasioni che, a suo avviso, Berlusconi rappresenterebbe la reincarnazione politica di De Gasperi. Chiaramente una corbelleria insostenibile, di cui – ma neppure ce ne sarebbe bisogno – l’evoluzione che il centro-destra ha attraversato lungo l’intera storia degli ultimi trent’anni per giungere all’approdo di domenica scorsa, fa giustizia “ad abundantiam”. Dimostrando, al contrario, come sia tale e tanta la distanza tra i due da rendere non sono improponibile, ma addirittura politicamente indecente osare un paragone.
De Gasperi, in un Paese umiliato dal fascismo, avvilito dalla guerra, scosso anche moralmente dalla guerra civile, privo di ogni esperienza di vita democratica e di coinvolgimento attivo delle masse popolari nella vita dello Stato, esposto al rischio di una deriva reazionaria o di un rigurgito populista, ha saputo affermare a pieno titolo i valori della libertà e della democrazia, della ricerca costante di un equilibrio sociale ispirato all’ideale della giustizia e della piena dignità di ogni persona. Ha compiuto un autentico capolavoro interpretando istanze più che moderate, le quali lasciate alle loro naturali inclinazioni avrebbero potuto rappresentare la massa di manovra di tentazioni addirittura eversive, impegnandole piuttosto entro un percorso che ha visto la Democrazia Cristiana, secondo la sua stessa affermazione, dal centro “muovere” verso sinistra.
Una forza moderata, che, in virtù della visione cristiana dell’uomo e della vita cui si ispirava, in forza della sua vocazione e del radicamento popolare, ha saputo assumere un ruolo progressista. Per un verso, impedendo che nel Paese nascesse e si affermasse una destra potenzialmente pericolosa ed affrontando, a viso aperto, sull’ altro fronte, una sinistra che imprigionava un’ altra importante esperienza di popolo, culturalmente alternativa, nella gabbia dell’ideologia marxista.
Forse non ci si rende ancora pienamente conto di quale straordinario laboratorio politico sia stata l’Italia di quegli anni. La cosiddetta “Seconda repubblica” ha camminato in una direzione esattamente antitetica. La presunta “rivoluzione liberale” proclamata da Berlusconi e da nessuno mai vista, attorcigliata attorno ad interessi di parte, incapace di indicare una strategia di interesse generale per l’Italia, ha visto la trasformazione del classico “centro- destra” in una coalizione di “destra” tout-court, che non esclude inclinazioni di carattere estremo.
A questo, come sua evoluzione naturale, è approdato il percorso politico di cui Berlusconi porta, prima e più di altri, una rilevante responsabilità di fronte al nostro Paese.
Domenico Galbiati