Il bellissimo articolo di Daniele Ciravegna, pubblicato su queste pagine ieri l’altro ( CLICCA QUI ), ci induce a riflettere come il definirci “partito di ispirazione cristiana” non sia qualcosa che si possa dire a fior di labbra. Non ha in sé nulla di semplice o di scontato, ma ci impegna, piuttosto, a rispondere alla domanda se la nostra società secolarizzata abbia ancora bisogno del cristianesimo o sia, al contrario, ormai adattata a vivere prescindendo da Dio.
In realtà, ispirarsi alla concezione cristiana dell’uomo e della storia significa alimentare e sostenere un atteggiamento di costante ricerca e di apertura. Non a caso, infatti, se ci ponessimo alla ricerca di quella estrema e radicale sintesi che in una parola, in una parola sola, sappia dire quale sia il nostro progetto ed il nostro programma, dove approderemmo se non a “libertas”? La libertà – in ultima analisi, il vero marchio, la cifra indelebile del nostro essere ad “immagine e somiglianza di Dio” – non è forse, anzitutto, apertura e ricerca costante ?
Si ha, talvolta, l’impressione che noi stessi, pur da credenti – forse perché osserviamo il nostro mondo dall’interno e, quindi, fatichiamo a coglierne l’insieme – non riusciamo ad apprezzarne la ricchezza e le potenzialità. Le quali, talvolta, inaspettatamente, vengono comprese più a fondo da chi, lontano dalla fede, è forse mosso da una nostalgia di cui lui stesso sembra non sapersi dar ragione, eppure così impellente. Da queste voci dovremmo lasciarci interrogare.
E’ un po’ come se fossero l’altra faccia della Luna, quella che non vediamo mai, cosicché neppure ricordiamo come sia illuminata dal sole quanto quella che riflette fino a noi la sua luce. Anche perché, contrariamente a tanti nostrani laicisti da strapazzo, non solo non negano che i credenti debbano trarre dalla loro fede un impegno pubblico, ma pare quasi lo esigano, al punto di rimproverarli quando non ne siano all’altezza.
Francois Jullien, filosofo francese dichiaratamente ateo, è una di queste voci. “Risorse del cristianesimo” è una delle sue opere più intriganti e merita di essere letta, non perché sia, come dire, ortodossa e del tutto condivisibile, ma per la capacità di aprire squarci che offrono anche al nostro sguardo, appesantito e stanco, prospettive nuove, tratte soprattutto da una lettura profonda ed originale del Vangelo di Giovanni.
Che cosa “il cristianesimo ha fatto avvenire nel pensiero” ? E come si spiega la sua “fecondità per la filosofia”?
Cosicché – contrariamente a quanto ritengono o accettano passivamente, per quieto vivere, anche molti benpensanti uomini di fede – “occorra porre fine all’evitamento della questione del Cristianesimo nel seno del pensiero contemporaneo”. “Evitamento”, così lo chiama Jullien, che non nasce da un superamento storicamente acquisito una volta per tutte, ma, ben al contrario, da quel disagio permanente che il messaggio del Vangelo provoca nella misura in cui sollecita e risveglia corde assopite che, a loro volta, sembrano scuotere e turbare coscienze addomesticate.
La questione, posta in questi termini, riguarda la coscienza ed il pensiero di ognuno. Ma concerne anche la dimensione collettiva della “polis”, la comunità nelle sue articolazione, su fino all’Europa. Per la quale non si può certo fare a meno – se ci atteniamo alle “radici” – di considerare il Cristianesimo tra gli altri “…ismi” che hanno concorso a tracciarne la storia, eppure – a giudizio di Jullien – non è qui il punto. Si tratta, piuttosto, a suo avviso, di leggere – anche sul piano civile e, dunque, se ne può derivare, anche politico – il cristianesimo come “risorsa”. Laddove quest’ ultima molto ha a che fare con la dimensione del dono e della gratuità.
“Risorsa” significa adottare questa chiave interpretativa piuttosto che permanere ancorati ai concetti di “valore” o piuttosto di “ricchezza” o ancora, appunto, di “radice”. Categorie che, a giudizio del filosofo francese, evocano un che di statico e di stanziale, un tratto identitario arroccato sulla difensiva, prono ad una deriva ideologica che è esattamente il contrario della libertà perennemente coerente al vento che soffia dove lo Spirito vuole. Per contro, concepito come “risorsa”, il Cristianesimo offre la sua “ispirazione” sia a chi sta dentro il suo perimetro dottrinale, sia a chi si mantiene al di fuori, sia a chi indugia e si trattiene sul confine. Si stempera, fino a superarne la linea di
demarcazione, la contrapposizione tra chi ha accolto il dono della fede e chi non l’ha avuto o non ne ha colto il respiro che pure lo ha investito.
Questo è importante per chi concepisce il partito di ispirazione cristiana nel segno di una sfida difficile quanto necessaria: come dar conto di ciò che pensiamo debba essere a fondamento di una convivenza civile davvero libera, incardinata sul rispetto integrale della dignità inalienabile della persona, secondo un linguaggio ed un’argomentazione accettabile, perfino accattivante, anche per chi proviene da altri presupposti culturali. Senza proselitismi, senza toni da crociata o pretese di forzate conversioni, senza presunzioni di verità inconcusse da esibire come vessilli, ma assumendo la nostra comune umanità, secondo la sua piena densità ontologica, come terreno di dialogo e di ricerca comune.
Quali risorse, dunque? Anzitutto, l’universalismo del Cristianesimo, la de-coincidenza, l’intimità. Profili da approfondire in un altro momento per non dilungarci oltre misura. Del resto, ci vorrebbe ben altro per recensire un pensiero così ricco, audace ed intenso. Si tratta, piuttosto, di lasciarci sorprendere da una riflessione che sembra provenire da lontano, da un altro mondo e giunge a noi come l’eco di una voce di cui si coglie anzitutto il timbro, il tono dell’invocazione, prima di decifrarne la lettera.
Pur in un mondo che appare appiattito ed omologato nell’orizzonte circoscritto di una immanenza rassegnata al non-senso, qua e là si accendono fuochi e domande che risalgono la corrente e si rivolgono ai credenti, sperando di ritrovare, nella loro testimonianza, quella riserva di significato, che è smarrita altrove. Ne discende una responsabilità che vuole avanzare anche sui sentieri della politica, che non a caso, com’è stato autorevolmente detto, rappresenta una forma di carità, la più alta.
Domenico Galbiati