Dopo la nomina di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea si sta preparando il secondo passo della formazione di quello che si può definire con qualche approssimazione il governo dell’Unione Europea.
Ognuno dei paesi membri ha dovuto formulare la proposta di un commissario (ma la Presidente ha chiesto due nomi, un uomo e una donna per bilanciare la composizione) che poi dovrà passare al vaglio del Parlamento europeo. La maggioranza dei paesi lo aveva già fatto da un po’, il Governo italiano ci è appena arrivato.
L’assegnazione degli specifici incarichi ai singoli commissari dipende poi dal quadro di insieme e dalle trattative tra la Presidente della Commissione e i vari governi. Infine, ci sarà il voto del Parlamento sulla Commissione nel suo insieme e la macchina europea potrà partire e affrontare i gravi problemi che stanno di fronte all’Europa.
In questo momento, è particolarmente evidente, almeno a chi non vuole nascondere la testa nella sabbia, l’intreccio sempre più stretto tra politica nazionale e politica europea. Parlare di un rapporto tra due entità distinte – l’Italia e l’Europa nel nostro caso – tra le quali regolare i conti (magari con una certa aggressività), come spesso si sente nel discorso politico elettorale nostrano significa non capire lo stato delle cose.
Focalizzandoci qui sul nostro Paese dobbiamo imparare a parlare di “Italia in Europa” e insieme di “Europa in Italia”. La compenetrazione tra questi due aspetti non può essere ignorata ogni volta che si discuta una politica importante per il Paese.
Cosa vuol dire “Italia in Europa”? Che il Paese è dentro ad uno straordinario, unico e complesso esperimento di costruzione di una entità sovranazionale che è oggi molto di più di una confederazione (come qualcuno si ostina a dire) e si avvicina per molti versi già oggi ad una federazione (con un proprio bilancio centrale, un’economia integrata, una propria moneta, un diritto comunitario che prevale sui diritti nazionali, importanti risorse
redistributive tra stati, estesi poteri sanzionatori centrali, ecc.).
Essere dentro a questo grande esperimento (pur con tutti i suoi difetti e limiti) dovrebbe essere considerato, per un
paese di medie dimensioni come l’Italia, un privilegio e una risorsa fondamentale in un contesto internazionale difficile e dove si affrontano grandi potenze continentali. In questo sistema istituzionale i governi nazionali hanno un preciso spazio e legittimamente possono far valere gli interessi del paese che rappresentano, ma ricordandosi che ogni governo è solo uno tra ventisette e che i risultati maggiori si ottengono solo se si è capaci di partecipare alla costruzione di un consenso molto ampio. Rivendicare titoli di preferenza (paese fondatore, seconda manifattura d’Europa, ecc.) non è detto che porti ai risultati desiderati.
In un consesso molto articolato come il Consiglio europeo il prestigio si conquista anche per i comportamenti che il proprio paese dimostra nell’assolvere ai doveri che derivano dall’appartenenza all’Unione, nel non bloccare riforme approvate da tutti gli altri membri (il famoso MES!), nel non chiedere continue eccezioni…Si parla spesso di “battere i pugni a Bruxelles” ma occorre ricordare che l’Unione funziona se i doveri che derivano dalla sua appartenenza sono assolti lealmente da tutti gli stati. Per fare un esempio importante: chi ha deciso liberamente di far parte dell’area euro deve sapere che non può minacciare la stabilità della moneta comune con un debito che cresce in maniera incontrollata.
Per capire pienamente la realtà nella quale ci muoviamo è indispensabile anche riflettere sulla prospettiva opposta, quella della “Europa in Italia”, cioè sul fatto che per tanti aspetti l’Unione Europea con le sue decisioni, normative e interventi di varia natura ha penetrato profondamente il nostro sistema paese (come quello di tutti gli stati membri). Basta citare alcuni tra gli aspetti più macroscopici: il diritto europeo, grazie al principio di superiorità si applica a settori sempre più importanti della vita economica e sociale (mercato, industria, tutela ambientale, diritti sociali, ecc.), il processo di bilancio nazionale è incardinato in fondamentali regole europee, importanti risorse finanziarie comunitarie (47 miliardi di euro per il periodo 2021-27) da decenni sono trasferite alle regioni meno sviluppate per ridurre il loro ritardo, prestiti della Banca Europea degli Investimenti sostengono la spesa infrastrutturale e soprattutto dopo la pandemia del COVID i fondi del programma SURE per sostenere l’occupazione e quelli ancora più ingenti del programma pluriennale Next Generation EU sono arrivati in Italia (che è risultata prima per entità del contributo tra tutti i paesi della UE).
Detta in altri termini l’UE è, accanto allo Stato italiano, uno degli attori fondamentali del nostro sviluppo economico, sociale e ambientale. Quando si discute di Europa sarebbe sempre utile fare un rapido calcolo di quello che succederebbe se la “coperta comunitaria” si accorciasse…. E soprattutto si tratta di capire come la presenza di questo importante attore nel nostro sistema paese possa essere utilizzato al meglio per potenziarne le capacità. Detto tutto questo c’è naturalmente ampio spazio per un esercizio di critica: l’Unione Europea è tutt’altro che perfetta (ma neanche gli stati nazionali a cominciare dall’Italia lo sono…) e se ha bisogno di rafforzarsi in alcuni importanti settori (politiche di investimenti tecnologici, ambientali, nella difesa), può sicuramente fare qualche cura dimagrante nella
iper-regolazione di altri ambiti. E’ importante però capire se la critica è quella di una forza politica che vuole effettivamente rendere l’UE più capace di affrontare le grandi sfide interne ed esterne che le stanno davanti oppure è quella di chi insegue chimere sovraniste con pochi agganci alla realtà.
Il fatto che la presidente del consiglio abbia deciso di privarsi di uno dei pezzi migliori (e meno polemici verso la UE) del suo governo per mandarlo a Bruxelles suggerisce che la comprensione dell’importanza di stare dentro il gioco europeo in modo costruttivo sia aumentata. Sarà importante vedere i prossimi passi.
Maurizio Cotta