“La Campania deve ripartire dagli obiettivi. Il Pnrr non è un fatto burocratico, ma un grande progetto che riguarda ciascuno di noi”. L’inizio è buono, poi il Pd campano, nel suo annuncio, si lascia prendere dalle suggestioni e vanifica dietro i numeri lo spirito costruttivo. Dei 13.489 progetti campani previsti dal Pnrr, per fare informazione e non speculazione, basterebbe guardare quanti sono quelli “in corso” e quali quelli “validati” per rendersi conto che molti di più sono quelli fermi, che difficilmente traguarderanno il 2026.

Sappiamo tutti molto bene che la contabilità del piano di resilienza non concede sconti. Se realizzi ottieni il finanziamento, altrimenti i costi restano a tuo carico. Se poi si va ancora un po’ più a fondo, sempre da Openpolis si ottengono informazioni in merito agli ostacoli che stanno determinando i rallentamenti e i ritardi: erronea descrizione delle misure e dei meccanismi di verifica che non consente la rendicontazione dei progetti; interventi relativi all’Alta velocità e alla transizione digitale, per i quali in sede attuativa sono emerse criticità archeologiche, geologiche e di natura autorizzativa, che non consentono il rispetto dei tempi previsti; interventi avviati precedentemente al Piano e all’emanazione delle sue disposizioni attuative e che non rispettano le stringenti condizionalità di esso e, soprattutto, il principio del DNSH che prevede requisiti stringenti di rispetto dell’ambiente e di sostenibilità.

In aggiunta sono da considerare indubitabili elementi di rischio la parcellizzazione di molti interventi e il ritardo nella fase di avvio quanto a tempi di selezione dei progetti e delle autorizzazioni. Tale impostazione comporta che molti interventi, pur essendo incardinati nella titolarità di poche Amministrazioni centrali, ricadono nella competenza di moltissimi soggetti attuatori, diversi per dimensione, capacità amministrativa e solidità finanziaria, determinando un carico amministrativo di difficile gestione. Alla luce di tali evidenze, la concretezza porta diritti alla riprogrammazione e alla copertura con altre fonti di finanziamento, come il Piano nazionale complementare al PNRR e i fondi delle politiche di coesione.

Qualunque altra via conduce a schiantarsi contro il muro della non ammissibilità. Uno sforzo di umiltà dovrebbe spingere chi vuole fare realmente opera di riconciliazione per il bene comune a prendere atto degli errori e a porvi rimedio. Partirei da un esame di coscienza che valuti le nostre abituali performance di spesa, per convincerci che continuare a discutere di ammontare delle risorse e non occuparsi della capacità di spesa è senza senso. Basta, per esempio, scorrere le voci sulla tendina progetti della Programmazione 2014/20 di Opencoesione per fornire dati di analisi più compiuti e fare informazione non allarmismo. Dei 7.482 progetti del POR Campania ne sonno stati conclusi 1.614, liquidati 1101.

Tra pochi mesi finisce anche il periodo del c.d. N+3, 31.12.2023, e sono ancora in corso 4.471 progetti, tra i quali troviamo il Piano Export Sud, la Garanzia Campania Bond, la Banda Ultra Larga, la Sanità Digitale, il Fondo di Garanzia POR Campania, etc. Poi, per non farci mancare nulla ci sono anche 396 progetti non avviati Piattaforma Open Innovation, Rafforzamento della Capacità Amministrativa, Piano strategico beni culturali, Interventi di messa in sicurezza Territori esposti a rischio idrogeologico, Digital Transformation, Rimozione rifiuti stoccati, Acquisto materiale per Tpl. Se una classe dirigente seria volesse fare il proprio mestiere dovrebbe utilizzare il proprio tempo collaborando con enti locali e regioni per fare una lista delle opere veramente realizzabili e accompagnare dal basso la riprogrammazione.

Le risorse ci sono basta solo organizzare la loro finalizzazione pensando non a ciò che si può promettere ma a cosa si può mantenere. Quello del Fondo Sviluppo e Coesione è un finto problema. L’80% destinato al mezzogiorno è già confuso dentro il Piano di Resilienza. Operazione compiuta in fase di prima stesura. La certezza è che, facendo transitare gli interventi in ritardo verso la programmazione 2021/27, a tale fondo si farà ricorso per coprire la quota di finanziamento nazionale aggiuntivo, ritornando indirettamente ai territori che ne hanno diritto. La litigiosità interna sulla riprogrammazione non aiuta con l’UE. Per superare questo scoglio è necessario concentrarsi sugli obiettivi, smettendo di guardare il dito invece che la luna.

Ermina Mazzoni

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