In attesa del primo di una serie di webinar, coordinati da Massimo Molteni, che INSIEME dedica – cominciando dal prossimo venerdì 10 (CLICCA QUI) – al tema della salute, alcuni spunti di riflessione da riportare a sintesi, secondo un disegno di difesa e rilancio della sanità pubblica, oggi chiaramente sotto schiaffo.
La sostenibilità del carattere universalistico del nostro SSN, a quasi mezzo secolo dal superamento della mutualità – per la precisione, 47 anni, a far data dal 23 dicembre 1978 – grazie alla legge di riforma generale del sistema sanitario (833/78), non dipende solo da appropriate tecnicalita’ organizzative e gestionali, bensì, anzitutto, da una riconsiderazione della cultura della salute di cui ha bisogno il nostro Paese. E non lo si dice per prendere le cose talmente alla larga, da girarci intorno senza cambiare uno iota. In caso contrario, anche un finanziamento adeguato, non sarebbe risolutivo.
La 883 – approvata nell’ “annus horribilis” dell’ uccisione di Aldo Moro – a riprova che le riforma si possono fare e si facevano, perfino in momenti di gravissima tensione, quando c’ era una volontà politica chiara e determinata – era stata preceduta, pochi mesi prima, da un’ altra legge sanitaria fondamentale che ha fatto la storia della psichiatria nel nostro Paese ed oltre, studiata ed imitata nel mondo intero: la legge 180/78 che, promossa da Franco Basaglia e dai suoi collaboratori dell’ Ospedale Psichiatrico di Gorizia, è stata varata dal Parlamento il 9 maggio, solo quattro giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, in Via Caetani.
Tra gli altri che verranno discussi nei webinar di cui sopra, almeno tre versanti vanno chiariti in premessa:
1 – La sostenibilità ha molto a che vedere con il passaggio da un ruolo passivo del cittadino, inteso come terminale cui recapitare, al bisogno, determinate prestazioni, ad un ruolo di attore consapevole del proprio progetto di salute.
Gli vanno messi a disposizione programmi di educazione alla salute, servizi di medicina preventiva ed un forte radicamento territoriale che ridia al medico di base un compito ed una responsabilità clinica, piuttosto che una funzione prevalentemente burocratica.
E’ tanto più necessaria una competenza “internistica”, nel senso classico del termine, alla base del sistema, quanto piu’ le specializzazioni ed il largo impiego di tecnologie sempre piu’ sofisticate frammentano e parcellizzano il
sapere medico. Senza questa “educazione” al rapporto con il complesso dei servizi sanitari, domanda ed offerta di salute sono destinate a rincorrersi al di fuori di una possibile connessione tra l’una e l’altra, che sia in grado di dare al sistema una coerenza interna ed una compattezza che oggi non ha.
2 – Un altro aspetto da mettere in chiaro e’ il necessario superamento della logica “aziendalistica” dei servizi sanitari, che ha, di fatto, compromesso, sul piano applicativo, l’impianto della legge generale di riforma, ispirata a criteri di integrazione tra differenti livelli operativi, che sono tuttora essenziali e da rimettere in moto. I “presidi sanitari”, ad ogni livello, piuttosto che quali aziende, vanno concepiti come “comunità solidali”, se così si può dire.
Le “aziende”, per definizione, sfornano merce – nel nostro caso, prestazioni sanitarie – che, nel mercato, competono e rivendicano la loro giusta remunerazione. La cornice di riferimento è, in ogni caso, la quadratura economica del sistema. Senonché, la salute delle persone non è un “prodotto”, ma piuttosto un “bene”, più precisamente un bene “di relazione”, che, pur senza ignorare la compatibilità generale del sistema, afferisce ad un economia del “dono”, piuttosto che del “profitto”. Peraltro, la “cura” presuppone, nel segno della “comprensione” del dolore e della sofferenza – che non sono la stessa cosa – una disponibilità solidate tra paziente ed operatori sanitari, ma anche tra questi sul piano di una efficace integrazione funzionale delle rispettive competenze.
In quest’ottica, del resto, dovremmo chiederci: cosa significa “curare” e “guarire”? Vuol dire, soltanto, ristabilire l’equilibrio bio-umorale e la funzionalità dell’ organismo oppure non si tratta anche, piuttosto che vivere la malattia come una lacerazione che compromette la vita, riportarla anche dentro un orizzonte di senso della propria esistenza?
E’ un discorso che ci porterebbe lontano e non è il caso di affrontare qui ed ora.
3 – Infine, una premessa di ordine generale riguarda la “governance” dei distretti sanitari locali, per lo più- vedi la Lombardia – affidati all’autorità monocratica di un “direttore generale”, recapitato da chissà dove, in un territorio di cui non sa nulla, tenuto soltanto ad un rapporto verticale con l’ autorità regionale, soprattutto in funzione – viene premiato se ci riesce – della quadratura dei conti.
Anziché un forte radicamento sul territorio, siamo in presenza di una piramide rovesciata di centralismi, a cominciare da quello nazionale cui si intendeva ovviare attraverso le Regioni. Senonché, il centralismo si è riprodotto, tale e quale, se non peggio, in ciascuna di esse e da qui replicato, appunto, nelle articolazioni locali del servizio sanitario. In altri termini, Enti locali ed Aziende Sanitarie si muovono nello stesso ambito territoriale senza conoscersi e, tanto meno, relazionare le rispettive funzioni. E ciò avviene in servizi di elevata prossimità, che mettono in gioco un valore che, come quello della salute, evoca un importante coinvolgimento emozionale.
Bisogna cambiar gioco, cominciando a coinvolgere i sindaci in un’opera di tessitura e di integrazione territoriale, ad esempio attraverso “consigli locali” in cui siano rappresentate anche le competenze professionali e le associazioni in cui prendono forma le attese e le istanze dei cittadini in ordine alla difesa ed alla promozione della loro salute.
Domenico Galbiati