È stato evidente, abbastanza subito, che avremmo mandato libero Mohammad Abedini Najafabadi  per avere indietro Cecilia Sala. La vita, il rispetto della dignità della persona, e del Diritto prima di tutto. Bene così che si sia riportata a casa la giornalista italiana, nonostante lo “scambio” cui siamo stati costretti. E nel più ristretto tempo consentito da una situazione oggettivamente resa ingarbugliata da complesse questioni giuridiche e dalle relazioni internazionali, altrettanto complesse.

Si è trattato di una di quelle tipiche situazioni che creano un baratro tra le dichiarazioni astratte di principio, tra quelle ufficiali, mai precisate bene fino in fondo, e la dura realtà delle cose.

L’Italia lo sperimentò amaramente con il “caso Moro”, che ebbe un esito opposto. Poi tre anni dopo, con quello dell’Assessore campano Cirillo: anch’egli catturato dalle Brigate rosse, ma restituito vivo alla famiglia. Ed anche in tante altre occasioni nel corso della lunga stagione dei sequestri che resterà sempre una nostra macchia oscura e perenne.

Ancora una volta le valutazioni della politica non hanno coinciso con quelle della magistratura. Il nostro Ministro Nordio ha vissuto, forse, le ore più difficili di un’esperienza di governo che, anche per altri motivi, non è tra le più agevoli. Prima, ha dovuto richiedere l’arresto dell’ingegnere iraniano sulla base dell’ordine di cattura presentato dagli Stati Uniti. Evidentemente, era stato ritenuto attendibile e ben fondato. E questa sembra essere stata anche la valutazione della Magistratura che ha negato ad Abedini persino i domiciliari, nonostante fosse in corso il “trattenimento” forzato della nostra Sala nella prigione di Teheran.

Chissà che i nostri politici non abbiano sperato che la patata bollente potesse essere presa in mano dai giudici romani … Non è andata così e i magistrati hanno fatto bere fino in fondo al Governo l’amaro calice. E, così, non sapremo mai se gli americani avessero valide ragioni nel formulare la richiesta dell’arresto che accusava l’ingegnere iraniano di reati gravissimi. Non è un caso se, mentre diventava sempre più evidente che Cecilia Sala avrebbe riabbracciato i suoi cari solo al prezzo dello “scambio”, ad un c’ero punto,  sono cominciate a circolare le voci che Abedini fosse accusato negli Usa di reati che non sono considerati tali in Italia. L’urgenza nel procedere al suo arresto, dunque, ha fatto inizialmente trascurare questo particolare? E’ ben comprensibile, allora, che i rapporti con gli Usa siano stati messi a dura prova.

I più anziani ricorderanno il caso Sigonella. Quando Craxi, da Presidente del Consiglio, e Giulio Andreotti, Ministro degli esteri, non vollero consegnare agli Usa il palestinese Abu Abbas e il gruppo dei suoi terroristi responsabili del sequestro della Achille Lauro, e dell’omicidio di un ebreo americano, Leon Klinghoffer, che si trovava a bordo della nave da crociera italiana. Dopo una lunga e delicata trattativa, sempre sull’orlo di far precipitare il sequestro in un bagno di sangue, i terroristi  erano stati autorizzati ad allontanarsi dall’Egitto con un aereo di linea in direzione Tunisi, dove allora era basata la Olp di Arafat. Invece, il velivolo, venne intercettato e dirottato sull’aeroporto della base siciliana da uno stormo di jet statunitensi. Vi fu un confronto al calor bianco tra i militari americani che, armati di tutto punto, avevano circondato l’areo costretto all’atterraggio e i carabinieri che si frapponevano tra di loro e la scaletta del velivolo.

Fu forse una delle pochissime occasioni in cui Craxi visse una “gloria” riconosciuta da tutti e, con lui, Andreotti. A destra, centro e sinistra, l’intero Paese celebrò la difesa della “dignità” nazionale e la coerenza con l’impegno assunto con altre entità estere, come l’Egitto di Mubarak e l’Olp di Arafat, che si erano fatti garanti della fuga dei terroristi palestinesi pur di far terminare il sequestro della Achille Lauro e liberare, così, le centinaia e centinaia di turisti tenuti prigionieri. Poi, diventerà di pubblico dominio la scoperta dell’uccisione a sangue freddo di Leon Klinghoffer e la cosa aggravò ancora di più il quadro diventato fosco delle relazioni con gli americani. Anche se Roma sosteneva che alle decisioni assunte si era giunti per evitare una vera e propria strage a bordo della nave dirottata.

Il caso Sala – Abedini non ha raggiunto fortunatamente livelli altrettanto drammatici. Giusta o sbagliata che fosse la decisione cui il Governo italiano giunse in quelle agitate ore di Sigonella, c’è da riconoscere che Craxi e Andreotti decisero autonomamente pensando al “male minore”. Forse, anche perché non ne ebbero il tempo, non pensarono proprio di chiedere il permesso ad alcuno… A cui, comunque, a posteriori spiegarono come erano andate le cose e perché.

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