L’esito a dir poco infelice dell’impatto dei maggiori sindacati della scuola – Flc Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Snals e Gilda – con la ministra dell’istruzione Azzolina si è tradotto in una decisione drastica: lo sciopero, “con particolare riguardo al personale in condizione di precarietà lavorativa” – si legge nel comunicato congiunto – già annunciato per il 17 marzo, è stato anticipato al 6 marzo, probabilmente anche per battere sul tempo analoghe iniziative da parte di altre sigle sindacali autonome e comitati di base assai attivi nel mondo del precariato.
Nella lettera inviata sabato scorso alla presidenza del Consiglio dei ministri, con la quale formalizzano la loro decisione, i sindacati sottolineano che lo sciopero “rappresenta una prima espressione di dissenso per le scelte politiche in materia di gestione del personale della scuola. Alla quale potranno seguire ulteriori iniziative”. Non una rottura definitiva, ci sembra, ma un pesante avvertimento.
Al centro dello sciopero del 6 marzo sono quattro temi, tre dei quali riguardano personale docente e ATA a vario titolo in condizione di precarietà e per il quale vengono richieste garanzie per la loro stabilizzazione.
In particolare per i concorsi i sindacati lamentano che non siano state definite “procedure di reclutamento tali da riconoscere ‘la professionalità acquisita, grazie alla quale è stato possibile assicurare la funzionalità del sistema dell’istruzione’, come previsto dall’Intesa di dicembre a Palazzo Chigi”, che a sua volta si richiamava a quanto previsto nell’Intesa del 24 aprile 2019 (il ministro era Bussetti, ma il presidente del Consiglio era sempre Conte) nella quale si condivideva l’esigenza di individuare “le più adeguate e semplificate modalità per agevolare l’immissione in ruolo del personale docente che abbia una pregressa esperienza di servizio pari ad almeno 36 mesi di servizio”. Secondo i sindacati occorreva “garantire ai candidati ogni opportunità di preparazione e di preventiva esercitazione”, cosa che la ministra finora non avrebbe fatto.
Il secondo tema riguarda i facenti funzione di DSGA. Anche in questo caso “non sono state attivate le procedure contrattuali o legislative per portare a soluzione il problema degli assistenti amministrativi, privi di titolo di studio specifico, che hanno svolto per almeno tre anni le funzioni dei Dsga”.
La terza ragione della protesta riguarda l’abilitazione per la cui acquisizione “deve trovare riconoscimento l’esperienza professionale acquisita” e che deve essere consentita anche “ai docenti di ruolo della scuola statale, e ai docenti non abilitati delle scuole paritarie e dei centri di formazione professionale”.
Infine il tema della mobilità, poiché “non è stato convocato il tavolo di contrattazione nazionale integrativa sulla mobilità, territoriale e professionale, del personale docente, educativo ed ATA”.
Quattro temi caldi, sui quali, come sottolinea il segretario della Uil Scuola, Pino Turi “questo ministro ha messo in discussione tutti gli accordi sindacali già realizzati”, tornando a quel modello di disintermediazione che aveva caratterizzato la legge 107: “un ritorno al passato che nessuno vuole”
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