Si dice che Voltaire abbia pronunciato la frase “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”.
Nella patria di Beccaria la scarsa attenzione prestata all’argomento carcere negli ultimi trent’anni sta presentando il conto perché abbiamo scelto di rimuovere il problema.
Suicidi, sovraffollamento, mancanza di risposte adeguate alle problematiche sollevate dai detenuti fragili come i migranti o i tossicodipendenti, violenze e abusi degli agenti di polizia penitenziaria hanno fatto regredire la funzione della pena agli anni bui del Codice Penale Rocco del 1930 dove, con il suo carattere meramente afflittivo, la rieducazione dei condannati era affidata all’istruzione e al lavoro, in linea con le teorie bioantropologiche del tempo e, in particolare, con la teoria del delinquente nato elaborata da Cesare Lombroso.
Il governo, complice il Parlamento, crede dì rispondere all’eterna emergenza carceri con la Legge 8 agosto 2024, n. 112 . Il provvedimento introduce alcune misure che dovrebbero migliorare, da una parte, la gestione delle strutture carcerarie, per cui è prevista l’assunzione straordinaria di mille nuovi agenti e venti dirigenti penitenziari e, dall’altra, le condizioni dei detenuti contribuendo al loro benessere psicologico con la possibilità di fare più telefonate settimanali e mensili per mantenere rapporti familiari e personali. Per i detenuti tossicodipendenti è prevista una maggiore possibilità di scontare la pena in comunità terapeutiche. Inoltre, in caso di mancata concessione o revoca del beneficio della liberazione anticipata, si stabilisce che questa decisione venga comunicata al detenuto. Infine, è previsto il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria per far fronte alla grave situazione di sovraffollamento.
Si tratta di provvedimenti che, se idonei a mitigare gli effetti della restrizione della libertà, non si allontanano dalla concezione afflittiva della pena.
Ma la Costituzione è lì a ricordare agli smemorati che delinquenti non si nasce, ma si diventa, anche per responsabilità collettive. E’ per questo che la Costituzione repubblicana con l’art.27 cambia totalmente la prospettiva perché assegna alla pena la funzione di rieducare il condannato in vista del suo reinserimento sociale ed è anche per questa ragione che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità “.
Per inquadrare la tesi di fondo della mia riflessione prendo in prestito le parole di tre illustri personaggi. Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, amava ripetere: “l’uomo non è il suo errore”; Papa Francesco, rivolgendosi ad un ex detenuto, disse: “ non c’è santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro”; il maestro Riccardo Muti, nel presentare un opera che avrebbe diretto, disse: “ l’orchestra è il sinonimo di società; ci sono i violini, violoncelli, bassi, le viole, contrabbassi, flauti, tromboni, ecc…; ognuno ha frasi diverse, ma devono concorrere tutti, pur avendo frasi diverse, all’unico bene che è quello dell’armonia di tutti“.
Purtroppo dobbiamo riconoscere, con realismo, ma anche con amarezza, che la nostra società è ben lontana dall’essere, più che dall’apparire, quell’orchestra che interpreta e suona senza stonare lo spartito costituzionale che distingue l’errore dall’errante, che sa correggere gli errori, dare speranza, per l’armonia di tutti.
Il Terzo settore, che potrebbe facilitare percorsi di inserimento lavorativo, è stato totalmente ignorato. Si tratta invece di una risorsa che doveva essere valorizzata perché rappresenta un ponte con le imprese da coinvolgere nel segno dell’emancipazione per correggere le errate scelte economiche, politiche o culturali all’origine della devianza.
La giustizia riparativa, che la riforma Cartabia aveva portato in primo piano, non è stata neppure presa in considerazione. La logica sottesa è chiara: deve prevalere l’effetto punitivo della condanna, “marcire in carcere…buttare via la chiave”. Salvo poi ritrovarla per qualche amico potente che non manca mai.
La depenalizzazione dei reati minori è rimasta nella penna del legislatore che continua ad emanare leggi prevedendo sanzioni penali. Circa 1.700 persone scontano una pena inferiore a un anno e circa 3.000 tra uno e due anni. Sono persone in povertà materiale, personale e sociale nei cui confronti lo Stato risponde con la sola pena detentiva. Quale progetto educativo sarà mai possibile attivare in carcere in un tempo così breve? Non vi è alcun investimento su progetti di accompagnamento esterno, sul dopo, su quando le persone detenute saranno di nuovo in libertà. L’esperienza ci dice che il rischio della recidiva si riduce in misura significativa quando la pena viene graduata in misure alternative.
In conclusione mi piace ricordare un principio fondamentale contenuto nelle Regole penitenziarie europee, approvate dai paesi del Consiglio d’Europa nel 2006, secondo cui la vita in carcere deve essere il più simile possibile alla vita all’esterno. Ma le nostre carceri sono ben lontane dal veder attuato questo principio di civiltà.
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