Uno degli aspetti inediti della transizione geopolitica in corso consiste nel fatto che la pluralità di narrazioni che da sempre esiste, si stia rafforzando con la crescita di nuovi protagonisti sulla scena globale in un mondo in cui alcune distanze si accorciano, con più possibilità di incontri trainati dal commercio, e di nuovi mezzi di comunicazione praticamente in ogni angolo del mondo.
Ne viene fuori un contrasto spesso stridente tra la visione occidentale delle cose e quelle dei tanti altri con cui condividiamo il pianeta. La prima necessità che si pone in questi tempi nuovi è allora quella di trovare un linguaggio comune, condiviso e rispetto a cui nessuno si erga a depositario. Un metodo che ha sortito i suoi risultati migliori nella definizione dell’Agenda ONU per lo sviluppo sostenibile, che fa da collante nella molteplicità di sistemi politici e di culture del mondo. E che costituirà un terreno comune anche per il prossimo G20 di Nuova Delhi, al momento unico vero embrione di governance multipolare, un organismo in cui Occidente, BRICS e Paesi emergenti devono se non altro, reciprocamente contenere le loro istanze per fare spazio anche a quelle degli altri, in attesa di trovare una nuova armonia. Intesa possibile proprio applicando al problema-base su cui vi è disaccordo, quello di un nuovo ordine globale più equo e rappresentativo del mondo attuale, il metodo adottato per l’agenda sulla sostenibilità.
In attesa che questo traguardo venga prima o poi raggiunto, e per via politica non con altri mezzi, assistiamo al gioco di narrazioni che si scontrano, e in cui alla fine rischiamo un po’ tutti di rimanere prigionieri.
È il caso ad esempio della travagliata vicenda ucraina a proposito della quale viene ora proposto un cambio di narrazione simultaneo e univoco in tutto l’Occidente che all’improvviso sdogana la perdita di territori ucraini, proponendo come il rimedio – l’adesione al sistema di sicurezza occidentale – ciò che è stato in realtà la causa degli scontri verificatisi dal 2014 in avanti fino a culminare con l’inaccettabile invasione russa dello scorso anno. Infatti, se l’Ucraina non avesse subìto pressioni esterne tali da farla rinunciare alla propria neutralità, l’Ucraina non avrebbe perso neanche la Crimea. L’avrebbe mantenuta senza sparare un colpo. Con la situazione che invece irresponsabilmente si è creata, l’Occidente sembra essersi cacciato in un vicolo cieco da cui difficilmente troverà un modo indolore per uscire, sacrificando, in ogni caso, come sta già accadendo (ma quando ci accorgeremo della crisi sociale tedesca potrebbe esser, di nuovo, troppo tardi), un benessere e dei livelli di vita per le masse europee che per lungo tempo potremmo non più vedere, se non dover dimenticare del tutto.
Quindi in questo milieu mediatico, che è frutto dei tempi, che in ultima analisi sembra dipendere dal disaccordo su un nuovo ordine globale, la politica credo debba sapersi muovere con molta prudenza e senso di responsabilità (come in gran parte avviene), consapevole del fatto che, almeno nel nostro mondo occidentale, le narrazioni dominanti sovrastano la politica. La quale talora le dovrà assecondare piuttosto che aggirare nei fatti quando il bene comune lo richieda, iniziando a salvare il salvabile, per ora, in attesa di tempi migliori che certamente non tarderanno ad arrivare e che, con ogni probabilità, avranno ancora, e stavolta non senza sorpresa, il nostro principale alleato, gli USA, come principale motore del cambiamento insieme ai nuovi protagonisti globali tra i quali anche l’UE dovrà decidersi di inserirsi, avviando in tempo utile e in modo concreto le riforme adeguate a consentirlo.
Giuseppe Davicino
Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte (CLICCA QUI)