Bisogna inoltrarsi ben addentro i giornali, sfogliando una pagina dopo l’altra, per trovare notizie relative al massacro dell’Ucraina. Eppure, i popoli liberi ed i loro governi dovrebbero chiedere che al popolo martire dell’Ucraina venga assegnato il Nobel per la Pace. Un gesto piccolo a fronte della distruzione immane, ma ricco, significativo, simbolico per riconoscere e ricordare che la sofferenza che l’Ucraina sopporta è seme fecondo e nutrimento della nostra stessa libertà.
Se ancora si parla della guerra Ucraina, lo si fa in riferimento al grano e soprattutto al gas. Cioè il focus dell’attenzione è sui fatti di casa nostra ed a fare notizia è la riduzione programmata delle temperature ammesse per il prossimo inverno, a cominciare dagli uffici pubblici, piuttosto che sul genocidio che sistematicamente i russi perseguono in terra ucraina. Perché di questo, appunto, si tratta, di genocidio. Anche se quando l’ha detto Biden è stato insultato per un verso, deriso per un altro. Concetto, peraltro, cui ha alluso anche Papa Francesco. E’ confermato, dopo cinque mesi di bombardamenti ininterrotti, ad esempio, dalla deportazione in Russia di centinaia di migliaia di bambini ucraini, sostanzialmente sottratti alle loro famiglie. E dai bombardamenti mirati su università e teatri, luoghi privilegiati della cultura e della coscienza civile di un popolo.
Eppure, ci adattiamo a tutto e quando una notizia, essendo talmente ripetitiva, finisce per non fare più audience, finisce anche di interrogare e scandalizzare le nostre coscienze. E’ la logica della comunicazione, che, in definitiva, risponde, sua volta, alle regole del mercato, a plasmare la nostra percezione dei fatti sociali e la coscienza che li accompagna. La nostra formidabile capacità di adattamento è la condizioni decisiva per la nostra sopravvivenza e per lo sviluppo dell’umanità, fin dal giorno in cui Adamo ha dovuto lasciare il giardino dell’Eden.
Eppure, ciascuno di noi dovrebbe coltivare un’istanza superiore di ordine etico che non si faccia travolgere dal potere omologante dell’abitudine che smorza e, alla fin fine, rischia di spegnere anche la nostra sensibilità morale.
Putin sta coltivando, di fronte al mondo intero, una pedagogia di violenza, di livore e di odio, destinata ad avvelenare i pozzi della coscienza civile dei popoli.
Per parte nostra, dobbiamo mantenere viva la capacità di scandalizzarci ancora di fronte a tutto questo. Non consentiamo a Putin di dimetterci dalla nostra umanità.
Domenico Galbiati