Biden è approdato al vertice NATO di Vilnius, esibendo in anticipo una posizione di grande prudenza circa l’adesione dell’ Ucraina all’Alleanza Atlantica. Significa riconoscere che con la Russia devono essere contrattate garanzie di sicurezza? Quasi volesse tendere una piccola mano a Putin, nel momento della sua maggior debolezza?
Ciò ovviamente non toglie che la lotta di resistenza del popolo ucraino debba essere sostenuta, anche militarmente, fino in fondo. Anzitutto perché è tale: lotta di resistenza e, dunque, capace di rivendicare una legittimità morale che i paesi liberi non possono misconoscere.
Se un nuovo ordine mondiale va costruito, la prima pietra non può essere rappresentata dalla supina accettazione di un esiziale vulnus al diritto internazionale qual è l’aggressione di Putin a Kiev.
Ad ogni modo, pare sia giunto, anche per la Nato, il momento di guardare oltre il conflitto, che pur continua, e tracciare le prime linee di un nuovo assetto necessariamente multipolare, ma pur sempre percorso da una linea di demarcazione tra democrazie ed ordinamenti autocratici o più espressamente dittatoriali. È caduta la “cortina di ferro”. Eppure un confine, per quanto più sinuoso e flessibile, economicamente e commercialmente più integrato, persiste tra due ataviche concezioni del mondo e del potere.
Al sentimento democratico che i paesi dell’Occidente – sia pure passando spesso attraverso percorsi contorti, retti da interessi di parte, a volte inconfessabili, piuttosto che da un candore ideale – hanno faticosamente maturato nel corso di qualche millennio della loro storia, ad Oriente corrisponde tuttora una concezione sostanzialmente assolutistica del potere. Imposta da regimi illiberali, ma, in larga misura rispondente al sentire comune di popolazioni che, pur avendo elaborato culture raffinatissime, non hanno mai sperimentato effettive esperienze di liberazione e di vita democratica.
A fronte dei paesi liberi, le autocrazie dispongono – almeno a breve, salvo accumulare tensioni sociali che, ad un certo punto, presenterebbero comunque il conto – di un grande atout.
La centralizzazione piramidale del potere in contesti sociali ancora fortemente gerarchizzati, consente una più rapida semplificazione e, quindi, un più agevole governo di quei processi su vasta scala, tipici di un mondo globalizzato. Tale percorso per le democrazie è necessariamente più lento e più complesso.
Come sempre la libertà ha un prezzo, ma è , ciò non di meno, la ragione per cui valga la pena vivere, per le persone singole e per le collettività in cui si riconoscono.
Ha ragione Stefano Zamagni quando sostiene, con un recente, illuminato intervento su queste pagine (CLICCA QUI) come, a fronte dalla prima guerra “globale – cioè un conflitto che, per quanto combattuto localmente in Ucraina, fa risentire i suoi effetti sull’intero scacchiere mondiale – si debba ricordare che “sviluppo” è il nuovo nome della pace. Così come si deve prendere atto di una articolazione multipolare delle relazioni internazionali e, conseguentemente – come ancora propone il prof. Zamagni – della necessità di non abbandonarci alla sola classica dialettica “est-ovest”, che pur continua ad avere ragion d’essere, interpolandola con la direttrice Nord-Sud che anche i paesi democratici devono scoprire ed elaborare.
Nella nostra storia, “europeismo” ed “atlantismo” hanno proceduto, fin dall’immediato dopoguerra, di pari passo, per quanto fossimo parte di un’Europa debole al punto da invocare una supplenza difensiva della NATO, tale per cui gli Stati Uniti hanno avuto buon gioco nell’assumere e pretendere una posizione dominante.
Se intende riequilibrare tale rapporto l’Europa sa di dover pagare un prezzo non indifferente, tale da esigere un profondo ripensamento delle sue politiche tradizionali. Soprattutto, ha bisogno di approdare presto alla sua unità politica, se non vuole assistere passivamente al riassetto di un mondo globale che le cucirebbe addosso, a suo dispetto, l’abito ad esso più confacente.
Quanto alla Nato spetterebbe ancora all’Europa – ed anche all’iniziativa politica del nostro Paese – assumerla, non come gendarme del mondo, secondo il sentimento di molti, bensì anche come alleanza dei paesi liberi che perseguano organicamente, programmaticamente, lo sviluppo. Riconoscendovi, appunto, la nuova sostanza ed il nome nuovo della pace.
Domenico Galbiati