Gennaro Sangiuliano, prima di lasciare la guida del Ministero della Cultura, ha provveduto ad una raffica – pare – di ben 18 nomine, con una improntitudine degna che sua inadeguatezza. E di un’arroganza che acceca, al punto che si smarrisce perfino quel senso elementare della semplice opportunità o meno di determinati comportamenti. Senza, peraltro, rendersi conto dell’ imbarazzo almeno – e forse qualcosa di più- in cui finiscono per ritrovarsi tali “nominati”. Sui quali, in qualche modo e senza loro colpa, si riversa la colata di ridicolo nella quale il Ministro è affogato annaspando.

Sarà difficile non ricordarli come coloro che sono stati prediletti, per i rispettivi incarichi, da un tale portento di Ministro. E’ consigliabile che ciascuno di questi signori, a meno che non decidano di rinunciare al mandato, e a prescindere di qualunque sia la loro appartenenza politica precisi nel proprio curriculum che tale nomina è intervenuta, se non a suo dispetto, almeno “a sua insaputa”. Non sia mai che siano ricordati come “l’ ultima raffica di Gennaro”, una cosa appiccicosa da cui sarebbe difficile liberarsi.

Per la verità, andrebbe anche detto che “unicuique suum”, a ciascuno il suo, nel senso che non è del tutto e solo colpa sua se Sangiuliano – ed in questo gli va riconosciuta coerenza – dà libero sfogo ad una concezione del potere che evidentemente ha succhiato con il latte delle sue prime esperienze politiche, cosicché oggi gli riesce talmente ovvia e naturale.

Andrebbe esaminata a fondo la fenomenologia del potere della destra, in particolare di coloro che vengono dalla tradizione missina coltivata fin dagli anni giovanili. E’ istruttiva anche come monito e motivo d’ allarme per la tenuta democratica del nostro Paese. Altro che derubricare a vicende private ed inettitudine personale, come vorrebbe fare Giorgia Meloni, fatti che immediatamente attestano una mistica del “comando” pericolosa e regressive.

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