A chi volesse farsi un’idea su come funziona la scuola italiana quale luogo di formazione intellettuale dei nostri ragazzi e di approccio all’attuale storia del mondo converrebbe leggere il “Manifesto occupazione Liceo Niccolò Copernico- Bologna, novembre e dicembre 2023”.
Apre con un “Indice”, che annuncia un’Introduzione (Perché occupiamo?), quattro paragrafi (1. Questione Palestinese; 2. Questione violenza di genere; 3. Questione scolastica; 4. Le nostre proposte) e un paragrafo finale: “La nostra occupazione”. Come segnalato dal sito dell’Istituto, il Liceo è occupato dal 30 novembre. Si tratta di una scuola “grossa”: 1.692 alunni, divisi in 68 classi.
Il Manifesto impone una riflessione a noi adulti, perché espone le idee chiare e distinte di una generazione che non si adagia nell’indifferenza, che è generosamente attenta e attiva rispetto a ciò che si muove fuori dalle mura dell’Istituto scolastico, ma che è ridotta a raccattarle fuori dalla scuola infondate e/o banali.
E costringe a porsi la domanda: dove sono i maestri e gli educatori? Perché, certo, le generazioni adulte non possono cavarsela dicendo che “so’ ragazzi!” e che i ragazzi possono scrivere tutto ciò che credono, perché si ritiene che, tanto, le loro idee non contino e che, comunque, le idee sono labili, arrivano e scivolano via ad ogni cambio delle stagioni della vita… Il primo gesto educativo è quello di prenderli sul serio.
L’Introduzione del Manifesto parte da “due fatti di una gravità inaudita su differenti fronti: il genocidio di un popolo sottomesso da ormai più di 75 anni e l’ennesima vittima di un sistema maschilista e patriarcale”.
Genocidio, ma da parte di chi?
Il popolo sottomesso da più di 75 anni sono i Palestinesi della striscia di Gaza. I docenti di storia avranno spiegato ai ragazzi che Gaza è stata sotto occupazione israeliana dal 1967 al 1994, per 27 anni e non per 75? E che dal 1995 Gaza è sotto “governo” palestinese? E che dal 2006 si trova sotto la feroce dittatura di Hamas, che da allora non ha più indetto un’elezione? Servirebbe una qualche lezione di storia.
Ma sappiamo come funziona la fedeltà burocratica e ottusa ai programmi. In ciascuno dei successivi anni del triennio superiore ciascun docente continua imperterrito a parlare delle Repubbliche marinare o della Guerra dei Trent’anni o della Marcia su Roma.
E il presente? Zero! Ai nostri ragazzi le informazioni arrivano solo via TV, pochissimo dai giornali, molto dai volantini di gruppi politici altamente ideologizzati e dai social. Molti docenti si sforzano personalmente di introdurre strumenti per la lettura del presente storico, ma le poche ore a disposizione e la gabbia burocratica dei programmi sono un ostacolo insormontabile.
C’è da meravigliarsi se nel loro Manifesto i ragazzi ricorrono all’uso di vocaboli quali “genocidio” e “pulizia etnica” in modo decisamente improprio e estensivo? L’attacco di Hamas è classificato come “un attacco ai civili”, quello di risposta di Israele è semplicemente un genocidio.
Eppure “genocidio” è, secondo la definizione dell’ONU, l’insieme degli “atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Di certo, intenzioni e pratiche genocide sono state esibite, rivendicate e praticate da Hamas. Le guerre sono tragiche e producono tragedie umanitarie, ma non sono, ancora, genocidi.
Del tutto infondata è anche l’affermazione che sarebbe in corso in Israele “una violenta repressione” verso chi prova ad opporsi al governo Netanyahu. A chi si oppone non sarebbe riconosciuta “la libertà di espressione”. Sono mesi che almeno metà società israeliana riempie le piazze contro la riforma “costituzionale” di Netanyahu ed è dal 7 ottobre che si svolgono “sit in” e marce per la restituzione degli ostaggi.
Dal 7 ottobre le piazze di tutto l’Occidente euro-americano sono occupate da manifestazioni a sostegno della Palestina. Ma il Documento scrive che “in Europa vengono vietate la manifestazioni a sostegno della Palestina”. I ragazzi mentono, sapendo di mentire? Non credo. Semplicemente non sono informati. E chi dovrebbe farlo, se non, in primo luogo, i loro insegnanti? Al Copernico, lamenta il Manifesto, “non è stato possibile dichiararci contrari a un genocidio”. Difficile decidere della fondatezza dell’accusa, ma sorge un dubbio: qualcuno ha discusso seriamente con questi ragazzi su ciò che sta succedendo nel Vicino Oriente? O è un tema estraneo alla scuola?
Educazione sessuale in ambito scientifico e anatomico?
Il Manifesto chiede “l’introduzione di una funzionale e non reazionaria educazione sessuale e affettiva” con un progetto “che coinvolga la nostra scuola e che alterni lezioni frontali di ambito scientifico e anatomico (sic!) e ore orizzontali di dibattito che portino tutti ad una maggiore sensibilizzazione sull’argomento”.
La proposta squaderna tutte le banalità che ci hanno sommerso dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin, mirabilmente sintetizzate e riciclate da Elly Schlein: l’educazione sessuale ed affettiva ridotta a qualche ora di lezione di anatomia e a ore di dibattito orizzontale.
Così, anche la povera Giorgia Meloni è accusata di fingere di voler fermare questa barbarie, “quando è lei in primis a farne parte, portando avanti politiche reazionarie e conservatrici, negandoci ogni possibilità di autodeterminazione”.
D’altronde, la visione della società espressa nel Manifesto non dà scampo: “Da studenti e studentesse siamo pienamente consapevoli di vivere in una società marcia, fatta di individualismo, competizione e sopraffazione, che si rafforza nella volontà di possesso e nel dominio patriarcale”.
Si tratta, of course, della marcia società liberal-democratica e capitalistica dell’Occidente. C’è differenza tra questo anti-capitalismo di sinistra e quello risuonato domenica scorsa nei comizi dell’ultradestra europea a Firenze? Neanche un po’! Sulla base di questa visione, negli anni ’70 si finiva nell’insurrezionalismo e nella lotta armata. Oggi si può coerentemente approdare alla “cancel culture”, al “wokism” o a votare Salvini o “i rossobruni”.
La scuola, un gulag?
Il sistema scolastico è descritto come la gabbia del merito, delle differenze di classe, del disagio psichico: “Lo studente non solo è oppresso dalle aspettative genitoriali, ma percepisce una valutazione sulla persona e non sulla prestazione fornita. Attacchi d’ansia e panico sono ormai divenuti una normalità, svoltare l’angolo del bagno e incontrare uno studente in lacrime per via di una bassa valutazione non stupisce più nessuno”.
La descrizione dell’ambiente scolastico, in cui i ragazzi passano la metà delle loro giornate e la loro vita fino ai 19 anni è drammaticamente sconsolante. Fondate tanto o poco, queste percezioni rivelano una sorta di disperazione passiva, senza futuro, senza sbocco. I migliori occupano l’Istituto, i più fragili vanno dallo psicologo o si ritirano nella propria stanza a fare gli Ikikomori, i nuovi indifferenti vivono in una realtà parallela…
Questo Manifesto – ma ne circolano molti altri nelle scuole del Paese – è una denuncia ennesima della condizione giovanile, specchio di una società adulta, che invecchia senza più nessuna voglia di aprire ai propri figli i sentieri impegnativi del nostro tempo storico. Forse essa stessa preda di una disperazione passiva, forse affetta da sonnanbulismo, come suggerisce il 57esimo Rapporto Censis, in questo tempo di aspettative decrescenti e di “desideri minori”.
Difficile prevedere quanto futuro possa avere un Paese che sta seduto sulla faglia, mai così larga e profonda, che si è aperta tra le generazioni adulte e la generazione Z, e che il Liceo Copernico di Bologna drammaticamente rappresenta.
Giovanni Cominelli