Sulle dimissioni di Roberto Mancini, ex tecnico della nazionale italiana di calcio, per andare a dirigere da “Head Coach” la nazionale dell’Arabia Saudita, gli esperti delle cose del pallone hanno tutti le idee molto chiare. Mancini non poteva rifiutare una proposta dai contorni economici stratosferici, 30 milioni di euro all’anno fino al 2027, a fronte dell’attuale stipendio corrisposto dalla FIGC di soli 2 o 3 milioni di euro.
Scelte personali, legittime e rispettabili quelle di Mancini. Ma chi guarda e osserva una considerazione la deve pur fare, non tanto nei confronti dell’ex tecnico della nazionale, quanto per i giovani amanti dello sport. Non è possibile infatti far passare il messaggio che il guadagno sia un valore assoluto, il primo della gerarchia, superiore a tutti gli altri. Ci sono delle virtù che sarebbe bene non sgretolare del tutto, soprattutto se si è avuto il privilegio di essere stati identificati come simbolo della comunità sportiva, se non della nazione intera.
Le dimissioni di Roberto Mancini non sembrano rispondere ad altro che ad aspettative di pleonexia: brama dell’avere, un modo di agire comune, quasi assoluto nella psicologia comportamentale contemporanea, dove la felicità s’identifica con l’avere, mentre le virtù di Pericle, Aristotele, Cicerone e San Tommaso sono relegate nei libri di filosofia.
L’ex tecnico della nazionale ha fatto passare il messaggio che 30 milioni di euro valgono più dell’affetto di 30 milioni di italiani, che essere interpreti dell’orgoglio sportivo della FIGC vale di meno di un lucrosissimo contratto stipulato con Mohammad bin Salmab Al Sa’ud, che essere espressione della passione calcistica di un’intera nazione ha minor pregio di una somma di denaro, che ricevere riconoscenza e ossequio da parte delle più alte cariche sportive e istituzionali dello Stato valga di meno dei quattrini erogati dall’Arabia Saudita.
Questo pare essere l’insegnamento che il pubblico italiano, giovane e meno giovane, ha colto dalla vicenda, al di là dei destini del football saudita.
Per Aristotele c’è una grande differenza tra il procacciamento naturale di ricchezze e la cosiddetta “crematistica” innaturale. L’arricchimento per soddisfare i propri bisogni, grandi o piccoli che siano, è naturale, ma l’aspirazione ad aumentare indefinitamente le proprie ricchezze finisce per trasformare, ciò che dovrebbe essere un mezzo, in un fine.
Il modello calcistico saudita esprime interessi plutocratici, economici e politici estranei ai tradizionali valori dello sport, legati all’integrazione, il superamento delle barriere, la solidarietà. C’è da auspicare che la campagna pubblicitaria, avviata da parte di alcune reti televisive nazionali per coinvolgere il pubblico italiano sulle sorti del campionato saudita, non riceva i successi economico-finanziari che i suoi promotori si aspettano. Ne guadagnerebbero i giovani amanti del calcio, ne guadagnerebbe lo sport italiano.
Guido Guidi