In questi giorni, a cavallo tra aprile e maggio, ricorrono e si intrecciano due anniversari: il centocinquantesimo dalla morte di Alessandro Manzoni ed i cinquant’ anni dalla scomparsa di Jacques Maritain.
Dall’ uno all’ altro scorre, nel breve volgere di un secolo, l’arco temporale che idealmente connette cattolicesimo liberale e cattolicesimo democratico, che, nel riferimento alla “persona”, trovano continuità e consonanza.
Manzoni, lombardo – milanese, ambienta il suo capolavoro a Lecco, che sostiene: “chiamerei uno dei paesi più belli del mondo” – senatore del Regno e cittadino onorario di Roma, rinvia a Rosmini, di cui fu amico, ed alla fervida stagione del cattolicesimo liberale che, da metà ottocento, ricerca attivamente la possibile composizione tra religione ed evo moderno. Ambedue impegnati in una comune riflessione sul primato della coscienza e sui rapporti tra poteri dello Stato e potere temporale della Chiesa, del quale auspicano il superamento.
Rosmini non vide l’ unità d’Italia che pure aveva impegnato la sua riflessione, incentrata su un federalismo – apprezzato da Vincenzo Gioberti – nel segno di una varietà che, nell’ unità, illustri la “bellezza” dell’ Italia.
Manzoni, al contrario, visse l’ultima stagione della sua vita a cavallo di quegli anni.
Don Sturzo, che nasce quando Alessandro Manzoni è ancora in vita, cita più volte, nei suoi scritti, Antonio Rosmini.
La stessa intuizione del rilievo che le autonomie locali devono assumere nell’ordinamento democratico dell’ Italia, che Sturzo matura nella sua esperienza di pro-sindaco di Caltagirone, richiama – secondo la consapevolezza del valore delle radici storiche, culturali e sociali delle popolazioni locali – l’idea federalista di Rosmini.
Sul decorso del pensiero dei cattolici italiani, irrompe – in particolare ad opera di Giovanni Battista Montini – negli anni trenta del secolo scorso, la riflessione di Jacques Maritain, di cui ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario della scomparsa.
Allievo di Bergson, aderendo alla dottrina dell’ essere ed al realismo di Tommaso dà nuova vita ad una tradizione di pensiero, che rischiava di smarrire la freschezza delle origini e ne trae indicazioni orientate alla presenza pubblica ed alla responsabilità politica dei cattolici che sono, tuttora, vitali ed esemplari, pur – o, forse meglio, a maggior ragione – nel nuovo contesto epocale in cui ci è dato vivere.
Nel segno di un “umanesimo integrale” – ma non integralista – di esplicita ispirazione cristiana, aperto al confronto critico con altre culture, nella consapevolezza della propria forza intellettuale e del compito, si può dire profetico, che è tenuto ad esercitare nella sua libera responsabilità. La coscienza della ricchezza storicamente accumulata dal pensiero e dal movimento politico dei cattolici dovrebbe spronarci ad un duro e faticoso impegno di ulteriore sviluppo di un indirizzo, rivelatosi di vitale importanza per il progresso civile dell’ Italia.
Domenico Galbiati