Il 10 ottobre si è celebrata la Giornata mondiale contro la pena di morte, istituita nel 2002 dalla World Coalition Against the Death Penalty con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sull’importanza dell’abolizione della pena capitale. Questa giornata offre l’occasione per mobilitare attivisti, associazioni e cittadini a livello globale per discutere e promuovere i diritti umani e la dignità della vita, opponendosi a una pratica che è stata ampiamente criticata per la sua iniquità e inefficacia nel garantire giustizia.

L’impegno della Comunità di Sant’Egidio contro la pena di morte

Da sempre tra le associazioni cattoliche laicali in prima linea nel promuovere la pace e la giustizia sociale, la Comunità di Sant’Egidio si è impegnata attivamente nella lotta contro la pena di morte sin dalla sua fondazione nel 1968. Negli anni ’80, ha promosso campagne di sensibilizzazione e iniziative per l’abolizione della pena capitale a livello globale. La Comunità ha lavorato per unire diverse voci, tra cui quelle di leader religiosi, politici e associazioni della società civile, per opporsi a questa pratica, per sostiene il rispetto dei diritti umani e la dignità della vita, convinta che la pena di morte non sia mai una soluzione giusta per affrontare i crimini.

Di cosa si occupa la World Coalition Against the Death Penalty

In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, Interris.it ha intervistato Mario Marazziti, coordinatore internazionale della Campagna della Comunità di Sant’Egidio per una moratoria universale delle esecuzioni capitali e uno dei fondatori della World Coalition Against the Death Penalty, l’iniziativa che riunisce organizzazioni e attivisti di tutto il mondo per combattere contro la pena di morte. In un momento in cui il dibattito sulla pena capitale continua a sollevare interrogativi etici e giuridici, Marazziti condivide con noi le iniziative intraprese dalla Comunità di Sant’Egidio per promuovere l’abolizione della pena capitale, l’influenza del Papa sulle loro posizioni e le speranze per un futuro di pace e giustizia.

L’intervista a Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio

Quali iniziative ha intrapreso la Comunità di Sant’Egidio per promuovere l’abolizione della pena di morte a livello globale?

“Erano gli anni ’90. Un giovane afroamericano, finito nel braccio della morte in Texas a 18 anni, capro espiatorio di altri tre ragazzi più grandi, che non aveva sparato alcun colpo in una colluttazione per una rapina da venti dollari, aveva scritto a due giornali italiani chiedendo un “amico di penna”. Ne trovò due. Così la Comunità di Sant’Egidio e io personalmente siamo entrati per la prima volta in un braccio della morte americano. La battaglia legale per la sua innocenza, quella di un giovane che è diventato un uomo capace di comprendere e condannare la violenza, di rifiutarla alla radice, da dentro il braccio della morte, è diventata la storia di uno straordinario essere umano, su cui uno scrittore americano ha scritto un libro, Un santo nel braccio della morte, e che ha ricevuto la visita di Desmond Tutu. Da lì, la battaglia di Sant’Egidio è diventata globale. Abbiamo lavorato per unificare il movimento abolizionista americano con quello europeo, che erano completamente divisi. Poi per superare il fossato tra i sostenitori di una moratoria delle esecuzioni e gli abolizionisti. Nel 2002 è nata a Roma, a Sant’Egidio, la Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte, con ECPM, Amnesty International, Penal Reform International e altri: oggi sono più di 150 organizzazioni in tutto il mondo. E poi il lavoro per far nascere nuove forme di mobilitazione, il Movimento delle Città per la Vita, le Città contro la Pena di Morte. Dalle poche decine del primo anno, il 2000, alle 2500 di oggi: una pressione dalla società civile anche in paesi mantenitori. L’umanizzazione nei bracci della morte, la corrispondenza con alcune centinaia di condannati a morte, il lavoro diplomatico internazionale, all’ONU, per la risoluzione per una moratoria universale, gli incontri periodici dei ministri della giustizia, dove paesi che hanno abolito accompagnano i paesi che ancora la mantengono e la usano. In questo modo, molti paesi hanno fatto l’ultimo miglio verso l’abolizione”.

Come Papa Francesco ha ispirato le vostre posizioni e azioni contro la pena di morte? Quali suoi messaggi o encicliche ritenete più rilevanti in questo contesto?

“La Chiesa nel Novecento, progressivamente, è stata sempre più chiara nel rifiuto della pena capitale. Non solo papa Francesco con il rifiuto assoluto contenuto nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Paolo VI era intervenuto alla fine del franchismo in Spagna per fermare le ultime esecuzioni con la terribile garrota. San Giovanni Paolo II in Missouri aveva chiesto e ottenuto, durante la sua visita, l’annullamento di un’esecuzione capitale, e i nunzi diplomaticamente intervenivano per suo conto per cercare di fermare esecuzioni individuali. Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, il rifiuto della guerra, e anche della guerra contro i singoli individui con la pena di morte, è diventato un magistero esplicito. Ma il Catechismo della Chiesa Cattolica conteneva ancora un rifiuto pratico e non assoluto. Mentre diceva che praticamente è inutile e non più necessaria in alcun caso, in linea di principio non la contraddiceva. E questo rendeva più debole la difesa della vita, dal suo inizio naturale alla fine. Papa Benedetto, in più occasioni, ricevendo la Comunità di Sant’Egidio e i ministri della giustizia, ha fatto un appello agli Stati per l’abolizione mondiale. Papa Francesco ha reso più forte e chiara la difesa della vita in ogni circostanza con il suo Rescritto del 1° agosto 2018: «La pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona». Ne ha fatto un punto importante dell’azione delle Chiese. Penso che con il rifiuto della pena capitale, che è alla base dell’identità dell’Unione Europea, e con la saldatura tra azione dei governi e società civile, a livello mondiale la Chiesa cattolica eserciti un’influenza positiva e progressiva sul sentire del mondo, per resistere a una cultura di morte”.

Come rispondete a coloro che sostengono la pena di morte come misura di giustizia?

“La giustizia retributiva, la legge del taglione, chi uccide riceve la stessa moneta, è un’illusione e un pezzo di barbarie. Per i cristiani, fa parte di una lettura fondamentalista della Bibbia. Nel Vecchio Testamento il crimine di Caino non viene punito con la morte, ma Caino viene protetto da un segno. E la legge del taglione è in realtà un progresso, dalla vendetta e dalla punizione sproporzionata, settanta volte sette, a quella proporzionata. In realtà contiene una radice di uguaglianza, che dice che il torto commesso dal ricco e dal potente sul servo, sul povero, su quello che non conta niente, deve esser punito allo stesso modo. È una norma per la vita e la dignità della vita di ognuno. Nel libro di Giobbe si arriva poi a indicare che la vita umana, il principio vitale, è nelle mani di Dio, e non degli uomini. Fino a Gesù, al perdono e al divieto di offendere anche solo a parole, diventando lui stesso ‘maledizione’, condannato a morte per amore di ogni uomo e ogni donna, innocenti e colpevoli, quelli che lo lasciano solo e non sanno essere nemmeno amici fedeli. Non c’è giustizia senza vita. E c’è una cultura di morte che va svuotata piano piano, alla radice. Non c’è giustizia neppure nel colpire i colpevoli. In Giappone, in questi giorni, è stato riconosciuto innocente, definitivamente, dopo 40 anni nel braccio della morte, Iwao Hakamada. Una mostruosità. Negli USA sono arrivate al record di 200 le persone riconosciute innocenti dopo anni nel braccio della morte. Per fortuna, solo un omicidio grave su 100, lì, è punito con la pena capitale. Non c’è rapporto tra la curva delle esecuzioni e quella dei crimini gravi, in nessuna parte del mondo. Non c’è nessun rapporto tra la sicurezza e la pena di morte, che colpisce in maniera ineguale le minoranze, per razza, religione, o gli oppositori politici. Non c’è nessun sistema giudiziario che possa essere davvero giusto e infallibile. E quando viene tolta la vita, l’errore è irreversibile, la vita non può essere restituita. In questo modo, si umilia tutta la società, anche noi, al livello di un possibile assassinio. Solo la cultura della vita protegge davvero le società”.

Ci sono storie o testimonianze che potreste condividere?

“Conosco genitori e parenti di vittime, di persone che sono state uccise in maniera violenta. E che si sono sentiti molto confortati e incoraggiati a prendere posizione per una giustizia riparatrice, capace di contenere il perdono e la riconciliazione, che è l’unica guarigione possibile, invece di essere congelati nel dolore, nell’odio per il colpevole, in attesa della sua ‘distruzione’ fisica. Una morte in più non ricuce il dolore. Aggiunge solo una morte in più”.

Quali sono le vostre speranze per il futuro in merito all’abolizione della pena di morte e come pensate che la Chiesa possa svolgere un ruolo cruciale in questo processo?

“La Chiesa può avere un ruolo importante nel dialogo con gli stati e tra i cristiani. Il Texas, per esempio, ‘leader’ americano delle esecuzioni capitali – che sono diminuite da circa 100 a venti negli ultimi due decenni – si avvia ad avere una maggioranza della popolazione cattolica, di origine ispanica. Nelle Filippine il sentimento cristiano è un argine alla spinta politica alla reintroduzione della pena capitale. Nonostante la polarizzazione politica, le strumentalizzazioni da parte di governi autoritari, la pena di morte si sta restringendo nel mondo. Dal 1999, ben 50 Paesi hanno tolto la pena capitale dai loro ordinamenti. Ruanda e Cambogia, che hanno vissuto terribili genocidi, sanno bene che va interrotta la catena della vendetta e per questo non hanno la pena di morte”.

Qual è il messaggio principale che la Comunità di Sant’Egidio desidera trasmettere in occasione della Giornata Mondiale contro la Pena di Morte?

“Non c’è giustizia senza vita. Con la morte non si protegge mai la vita. Questo protegge le società più di ogni patibolo. Non è mai la paura a fermare la violenza, ma la capacità di riconoscere nell’altro una persona come noi: ‘Fratelli Tutti’, l’enciclica di papa Francesco, non è una utopia e un sogno di anime belle in tempi di violenza e di guerra. E’ l’unico modo di svuotare gli arsenali di violenza dal cuore dell’uomo e della donna. Un sistema in cui la pena di morte viene applicata rappresenta una minaccia per tutti noi, poiché dimostra che anche gli innocenti possono essere colpiti, e ciò potrebbe accadere a chiunque”.

Pubblicato su www.interris.it

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