Pubblichiamo l’intervento del prof. Vittorio Possenti tenuto in occasione del recente convegno del novembre scorso organizzato sulla figura di Jacques Maritain
Contributo abbastanza ampio, il cui intento è di recuperare e portare alla luce nuclei preziosi della maritainiana concezione della persona. Un compito decisivo in quanto tale concezione è quasi completamente ignota. Nel pensiero internazionale si asserisce che il filosofo francese è stato un personalista, ma si ignora la sua filosofia della persona.
Ontologia e libertà nella filosofia della persona di J. Maritain
1.La ricerca sulla persona. La feconda ricerca di M. nell’ambito teoretico dell’ontologia e della metafisica lo ha condotto senza deviazioni o vie traverse verso una filosofia dello spirito, della libertà, dell’amore, secondo un cammino che tiene insieme i vari fattori. Preferisco oggi non trattare dell’aspetto strettamente teoretico del suo pensiero, ma della persona scandagliata a fondo mediante l’ontologia. Mi porrò dunque a monte del noto personalismo comunitario, che è a buon diritto sovente ricordato, in specie in rapporto a Maritain, a Mounier e alla filosofia della società, per l’importanza che ha rivestito nel secondo dopoguerra nell’orientare carte costituzionali e culture politiche. In Il Contadino della Garonna Maritain quasi per inciso ricorda di essere stato lui a coniare per primo il termine, che successivamente sarebbe stato assunto da Mounier[1]. Ciò conferma che M. non fu un filosofo accademico isolato nel suo ambito; è stato un pensatore presente alla storia e all’eternità, impegnato verso l’essere umano sin nelle sue fibre più riposte. La filosofia della persona costituisce un fil rouge che percorre l’intera opera di Maritain, e ne rappresenta un punto di vertice che occorre sempre e nuovamente interrogare per scoprirne nuove gemme. L’attenzione degli studiosi si è invece rivolta al versante storico-politico, lasciando malauguratamente ai margini molte sue indagini sulla persona nell’ambito dell’ontologia, della filosofia della libertà, della dottrina della conoscenza, della mistica, della creazione poetica ed artistica. Rispetto a questi nuclei, il pensatore francese è rimasto largamente sconosciuto, nonostante che la sua filosofia della persona (insieme a quella di Rosmini) sia la più ricca della modernità filosofica, da Cartesio a noi.
Attraverso un ripensamento della nozione di persona, tramandata dalla tradizione classica, Maritain ci ha dato una ricca antropologia, che ha oltrepassato la chiusura del ciclo delle filosofie personaliste degli anni ’30, già avanzato alla fine degli anni ‘50. La forza dell’elaborazione maritainiana consiste nell’innesto, sul solido tronco della metafisica dell’essere e della persona, dell’attenzione moderna all’universo della soggettività, alla vita profonda del soggetto, ai dinamismi consci e inconsci della creazione intellettuale, etica e poetica, alla decisiva questione della libertà. Come procedere? Come abitanti della postmodernità dobbiamo ancora riprenderci dalla pervasiva caligine postmetafisica, avversa a un’ontologia del soggetto umano e alla sua apertura alla trascendenza.
2. Il soggetto umano come persona. In La filosofia morale (1960) nel capitolo su Hegel e la persona umana, Maritain riassume le posizioni fondamentali della filosofia (cristiana) sulla persona. Questa, una sostanzialità individuale e spirituale, è un tutto, caratterizzato dall’indipendenza e che si realizza analogicamente a diversi livelli ontologici in Dio, nello spirito puro, nell’uomo: «Quaggiù, dunque, la persona — “quanto c’è di più perfetto in tutta la natura” – era il soggetto umano individuale (composto di anima e di corpo e sussistente della sussistenza dell’anima) il quale, sovraesistendo spiritualmente in conoscenza e in amore, costituiva sì un universo a sé, ma era nello stesso tempo parte dell’universo e parte del gruppo sociale, possedeva sì l’indipendenza caratteristica della personalità, ma la possedeva solo nella sua radice, in mezzo a tutte le servitù che la materia e il mondo, l’eredità e l’ambiente facevano pesare su di esso»[2]. La persona è per Maritain un centro di libertà che può dialogare con altre persone. Vengono così fissati i caratteri ontologici della persona: individualità, unità, integrità, sussistenza, intelligenza, volontà, libertà, possesso di sé ad opera di sé[3]. Essi, esprimendo ciascuno un particolare in-spetto dell’io personale, rivelano e insieme velano l’universo della persona. Essa è un mistero metafisico, al di là delle oggettivazioni concettuali che la filosofia ne offre: «La persona umana è un centro misterioso sussistente in sé, un esistente sostanziale oscuro a sé medesimo a motivo della sua stessa ricchezza ontologica non esprimibile in alcun oggetto di pensiero, un individuo nel quale è contenuta e consumata la realtà metafisica della personalità e nel quale è in gioco il destino della personalità»[4]. In ciò si esprime la ricchezza del singolare e del concreto sull’astratto, che vorrebbe dissolverla in un universale senza sapore. Dobbiamo intraprendere l’indagine sulla costituzione ontologica della persona. Oltre alla classica dottrina secondo cui ogni ente risulta abitato da una doppia composizione – quella di materia e forma e quella di essenza ed atto d’essere (actus essendi) -, il pensatore francese affronta la delicata questione della sussistenza. Boezio aveva determinato la persona (divina, angelica, umana) come rationalis naturae individua substantia: una definizione che si tramanda da un millennio e mezzo e che non tramonterà tanto presto. L’Aquinate nel XIII secolo introdusse una modificazione non secondaria della formula boeziana, determinando la persona come un sussistente in una natura intellettuale o razionale: “Omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona” (C. G., IV, c. 35). Con il ricorso alla nozione ontologica di sussistenza si raggiunge una determinazione più profonda dell’idea di persona. Nel linguaggio della filosofia dell’essere una res che sussiste significa che esiste in modo più alto: niente a che vedere pertanto con l’idea del linguaggio comune in cui spesso sussistere significa vivere a un livello minimo, ossia sopravvivere con un assegno di sussistenza. La prima radice metafisica della personalità è la sussistenza, in virtù della quale la mia persona — come ogni altra persona — possiede la sua propria esistenza in modo assolutamente suo e incomunicabile, in maniera tale che non può condividerla ontologicamente con nessun altro: «La sussistenza è per la natura il suggello ontologico della sua unità. Se questa natura è completa (un’anima separata non è persona); se soprattutto è capace di possedersi, di prendersi in mano con l’intelligenza e la volontà, insomma, se appartiene all’ordine spirituale, allora la sussistenza di una tale natura si chiama personalità»[5]. Ciò vale anche per la persona umana, nella quale il livello ontologico della personalità, presente in radice sin dall’inizio, deve essere conquistato con fatica, anche a motivo della sua componente materiale. La persona umana pertanto non solo esiste ma sussiste: si appropria in modo più alto della propria essenza di quanto non facciano le creature non dotate di logos.
La sussistenza svela una perfezione specifica: quella di esprimere un esercizio «attivo e autonomo» dell’esistenza da parte del soggetto, una totalità in cui il tutto è in ciascuna delle sue parti, è interno a sé stesso e in possesso di sé medesimo. Per cui, aggiunge Maritain, l’esistenza e le operazioni del soggetto «non sono soltanto di lui, ma a lui proprie, sue — sue in quanto fanno parte integrante del possesso di sé per opera di sé, caratteristico della persona»[6]. Tale è il fondamento ontologico della soggettività personale, dal quale promanano le proprietà nell’ordine morale e l’aspirazione alla libertà e al dono: ”La personalità non cresce nell’uomo che nella misura in cui egli abbandona il mondo chiuso della semplice individualità materiale per aprirsi spiritualmente, mediante l’intelligenza e l’amore, all’altro e agli altri, al bene comune della famiglia e a quello della società, all’oceano senza confini della verità, delle sofferenze dei propri fratelli, della carità del proprio Dio»[7].
3. Personalità, individualità e amore. Nell’analisi del soggetto umano il filosofo francese ricorre anche alla coppia individualità-personalità, che secondo alcuni autori costituisce un punto focale della dottrina maritainiana della persona, spesso discusso ma non sempre compreso in quanto inteso come differenza tra individuo umano e persona umana, che invece coincidono[8]. In sostanza il soggetto umano non possiede la personalità in modo completo – la personalità si realizza pienamente solo in Dio – ma ne partecipa in modo assai imperfetto. Nell’uomo va ammessa una sorta di composizione di personalità e di individualità: il primo polo dice spiritualità e apertura, il secondo materialità e ristrettezza [9]. A differenza del nome di persona, che è applicabile solo alle sostanze spirituali, il nome di individuo è comune a molte realtà: all’uomo, all’animale, alla pianta, ad un qualsiasi oggetto. La radice dell’individualità è la materia, principio di individuazione, mentre quella della personalità è lo spirito. Il valore e la dignità della persona derivano da Dio: solo la persona è propriamente immagine di Dio.
Ai due poli dell’individualità e della personalità Maritain fa corrispondere le due istanze dei bisogni e delle perfezioni: e in ragione di entrambi l’uomo deve vivere in società. Non solo in rapporto ai loro bisogni, ma anche in virtù della loro radicale tendenza alla comunione, le persone sono fatte per vivere in società: «la società propriamente detta, la società umana, è una società di persone»[10].
L’amore non va in primo luogo a delle qualità della persona, ma si indirizza al suo centro stesso: «ciò che io amo è la più fondamentale realtà, sostanziale e nascosta, la più esistente dell’essere amato, — un centro metafisico più profondo di tutte le qualità e le essenze che io posso scoprire ed ammirare nell’essere amato»[11]. Questo centro è una realtà pienamente esistenziale perché esercita l’atto di esistere (esse o actus essendi), e lo esercita non come un sasso o una pianta, ma come una realtà spirituale capace di determinarsi e di sovraesistere in conoscenza e amore. La persona è «una fonte di unità dinamica e di unificazione dal di dentro»; è perciò interiorità, che però si espande verso e nella comunione, nella ricchezza delle comunicazioni di intelligenza e di amore: da qui quella dimensione dialogica della persona, quel rapporto io-tu, che va dall’interiorità di una persona a quella dell’altra[12]. In quanto sorgente di unificazione, la persona è capacità di ricondurre a unità la propria vita, di sottrarsi alla dispersione, di durare nella dimensione della coscienza e della vita interiore.
4. La persona umana di fronte a Dio. Nella dottrina maritainiana sulla persona si fondono le prospettive greca, ebraica e cristiana sull’uomo. Secondo la prima l’uomo è un animale dotato di ragione, la cui suprema dignità consiste nell’intelletto contemplante; per la seconda l’uomo è un essere libero in relazione con Dio, e sottoposto nella rettitudine alla sua legge. Dal cristianesimo l’uomo è interpretato come una creatura ferita, chiamata per grazia alla vita divina, e la cui principale perfezione consiste nell’amore agapico.
Dio (il Dio dei Vangeli) è il centro dell’uomo: con questa affermazione entriamo nella prospettiva esistenziale (dico ‘esistenziale’ poiché l’opzione per l’Assoluto non è il risultato di una dimostrazione) dell’umanesimo teocentrico o integrale, in opposizione alle prospettive dell’umanesimo antropocentrico per le quali homo homini deus. Il rapporto della persona umana con Dio si pone ad un primo livello, naturale, dell’indagine metafisica e antropologica: è la delicata questione del desiderium naturale videndi Deum. L’intelligenza, conoscendo Dio nei suoi effetti così come sono indagati nella ricerca di teologia razionale, aspira a conoscerlo in sé stesso. «Vi è nell’intelligenza umana un naturale desiderio di vedere nella sua essenza quello stesso Dio che essa conosce dalle cose che egli ha create »[13].
Non è tuttavia possibile all’uomo conoscere Dio nella sua impenetrabile essenza, conoscerlo intuitivamente come Dio conosce sé stesso. Quasi senza rivelarlo a sé stesso, l’uomo ospita però questo desiderio che Maritain chiama transnaturale, perché va verso un fine che è oltre il fine raggiungibile dalla nostra natura. Vedere Dio direttamente trascende del tutto le nostre capacità. Solo nella fede, che ci parla del dono gratuito che Dio ha fatto di sé all’uomo, sappiamo che questo desiderio non è vano e che a soddisfarlo si muove Dio stesso.
Sull’ingresso della persona umana nell’ordine soprannaturale, sul suo accesso al dialogo con Dio, due piloni innervano la meditazione maritainiana: la vocazione contemplativa della persona; la finalizzazione per grazia dell’uomo a Dio, che costituisce l’autentico fine ultimo assoluto della vita umana. Nella prospettiva di Aristotele, in parte ripresa dall’Aquinate, viene sostenuta la superiorità dell’intelletto speculativo su quello pratico, e quindi anche della vita contemplativa su quella politica, perché per il suo carattere immateriale e di fine in sé l’attività contemplativa è la più elevata attività umana.
La vocazione contemplativa della persona si mantiene anche nell’ordine soprannaturale, a prezzo però di un sostanziale cambiamento della nozione di contemplazione: l’intelligenza è più nobile della volontà, ma amare rettamente le cose è meglio che conoscerle: l’intellettualismo aristotelico cede il passo a una verità che illumina, trasforma il volere e conduce la persona fuori dal suo io ristretto. Nell’esperienza della contemplazione evangelica, donata per grazia, l’uomo ama, esperimenta e «soffre» le cose divine; è una contemplazione che parte dall’amore e si consuma nell’amore agapico, diversa perciò dalla contemplazione dei filosofi, che a dire il vero è più speculazione che contemplazione.[tema della contemplazione lungo le strade, sur le chemins…] La contemplazione evangelica è ordinata alla piena e perfetta dilezione di Dio; l’uomo è chiamato a vivere in dialogo con Lui. La questione verte sulla destinazione ultima della persona umana: «La persona umana è ordinata direttamente a Dio come al suo fine ultimo assoluto, e questa ordinazione diretta a Dio trascende ogni bene comune creato, bene comune della società politica e bene comune intrinseco dell’universo»[14]. Verità cruciale che esprime la destinazione suprema dell’uomo, e che in linea di principio non richiede alcuna mediazione, neppure quella del bene comune del corpo politico: la persona umana emerge al di sopra della società e dei suoi fini, per riferirsi immediatamente a Dio. Principio di trascendimento delle società politiche, derivante dal fatto che solo nell’uomo, e in nessun’altra creatura composta di anima e corpo, si trova l’immagine di Dio. Chiamata alla fruizione dell’essenza divina secondo l’atto più personale che si possa immaginare, «l’anima entra nella gioia stessa di Dio e vive del Bene increato che è l’essenza divina stessa, il Bene comune increato delle tre Persone divine»[15]. Riferendosi a Dio e a Lui finalizzandosi, la persona umana può sormontare la torrenziale molteplicità che la abita, vincere la dispersione della propria esistenza e del divenire, radunandosi in un progetto di vita non subito, ma unificato interiormente in virtù di questa relazione trascendente. Senza Dio la persona umana diventa preda dell’anomia e della dispersione.
Nel rapporto dialogico (io-tu) con Dio, l’uomo scopre la propria dignità, è rivelato a sé stesso scoprendosi amato da Dio: l’esplorazione dell’universo della soggettività assume così nuove dimensioni. In questo universo, inesauribile e mai completamente sondabile dall’io, la persona è sempre in « trascendenza» rispetto alle situazioni date, perché è opaca a sé stessa.
5. Soggetto e soggettività. Si è talvolta rimproverato a Maritain di aver misconosciuto ciò che invece ha molte volte affermato: la soggettività, il suo mistero profondo e notturno, gli sviluppi che questo tema ha ricevuto nella modernità, in cui la persona scopre la propria soggettività, ne prende coscienza e se ne fa un universo. L’incremento di conoscenza della soggettività costituisce un reale progresso, di cui beneficiano la poesia, l’arte, la mistica.
Il Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente offre al riguardo pagine profonde e letterariamente avvincenti, in cui si afferma che la filosofia tomista vale come un intellettualismo esistenziale, capace di raggiungere e comprendere l’esistenza mediante l’intelligenza[16]. In questa filosofia la nozione di soggetto ricopre un’importanza capitale: «potremmo dire che i soggetti occupano tutto il posto nell’universo del tomismo, nel senso che per esso esistono solo i soggetti con gli accidenti che vi ineriscono; l’azione che ne emana e le relazioni reciproche; solo i soggetti individuali esercitano l’atto di esistere»[17].
La metafisica non si volge verso pure essenze, ma verso il mondo dell’esistenza, dove incontriamo solo soggetti; che tuttavia conosciamo non come tali, ma solo oggettivandoli (ossia come oggetti) secondo una molteplicità di aspetti che non vengono mai esauriti, e che anzi aumentano di numero e di complessità man mano che si sale nella scala dei soggetti, da quelli dotati di semplice esistenza a quelli dotati di vita intellettiva e volitiva, in cui il soggetto diventa persona. In essi si esercita la libertà del soggetto nell’agire, di modo che nell’etica tomista rivolta al bene l’intellettualismo si congiunge con la volontà e la libertà, e in entrambi i casi mantiene il suo carattere massimamente esistenziale.
In che modo il soggetto pensante conosce sé stesso? È cosa differente definire nozionalmente la soggettività e conoscere la soggettività in quanto soggettività. Mediante la riflessione conosciamo in modo non scientifico l’esistenza dell’anima e della nostra soggettività profonda: ma tale conoscenza è appunto non scientifica, bensì sperimentale e incomunicabile. L’intuizione della soggettività è un’intuizione esistenziale, che non ci rivela alcuna essenza, non è dunque né concettualizzabile, né oggettivabile: «La soggettività, in quanto tale, sfugge, per definizione, a ciò che conosciamo di noi stessi per nozione»[18].
Tuttavia la mia soggettività non mi è completamente ignota, e può essere conosciuta in due modi: mediante una conoscenza informe, diffusa, preconscia e virtuale, che avvolge la nostra personalità, percepita come una totalità presente in tutte le sue parti; mediante la conoscenza frammentaria, intermittente, ma attuale, che il soggetto acquisisce di sé stesso nella conoscenza per inclinazione o connaturalità nelle sue forme tipiche. Esse sono: la conoscenza pratica dei fatti e dei valori morali attraverso le inclinazioni interiori del soggetto; la conoscenza poetica, in cui la realtà del mondo e la soggettività vengono conosciute all’interno di un’unica intuizione creatrice; la conoscenza mistica che si volge a Dio e lo raggiunge per connaturalità d’amore, di modo che viene al soggetto offerta, oltre alla conoscenza amorosa di Dio, una sorta di trasparenza del proprio mondo interiore, nella guisa di una conoscenza reale, ancorché incompleta, della propria soggettività. Maritain nota che nessuna di queste forme di conoscenza delle soggettività avviene per modo di oggettivazione concettuale, non è cioè conoscenza filosofica oggettivata: la filosofia conosce il soggetto solo come oggetto. Soltanto la religione può entrare nella relazione soggetto-soggetto: «La religione è per essenza ciò che nessuna filosofia può essere: rapporto da persona a persona, con tutto il rischio, il mistero, lo sgomento, la fiducia, la delizia e il tormento che esso comporta» (p. 103).
Nel rapporto religioso il soggetto creato entra in relazione con il soggetto increato, e in questa conoscenza si fa in certo modo presente la soggettività divina in quanto tale, il mistero della sua vita personale. Ma è infinitamente più vero il reciproco, e cioè che solo Dio mi conosce come soggetto, nella mia soggettività profonda: tutti gli altri soggetti umani mi conoscono molto più come oggetto che come soggetto, perché ignorano la mia soggettività più autentica. Solo Dio non deve oggettivarmi per conoscermi: «Quanto più conosco la mia soggettività, tanto più mi resta oscura. Se non fossi conosciuto da Dio, nessuno mi conoscerebbe; nessuno mi conoscerebbe nella mia verità, nella mia propria esistenza, nessuno conoscerebbe me come soggetto» (p, 107s). Se oggettivare significa universalizzare e cogliere le essenze o nature universali, l’oggettivazione non può essere fedele alla soggettività individuale.
La persona esiste nel modo più alto nel movimento del donarsi, cui corrisponde una più profonda conoscenza della propria soggettività, che insieme è scoperta della generosità profonda dell’esistenza: l’io raggiunge allora la suprema rivelazione dell’esistenza (p. 113). Attraverso l’amore viene valicata quella soglia che impedisce all’intelligenza di cogliere la soggettività come tale: «Dire che l’unione d’amore fa dell’essere che noi amiamo un altro noi per noi, è come dire che l’unione lo rende per noi un’altra soggettività, un’altra soggettività nostra» (p. 114). L’amore diviene mezzo formale di conoscenza della soggettività dell’amato, sì che egli, guarito dalla solitudine, «può, anche se ancora inquieto, riposarsi un attimo nel nido della conoscenza che noi abbiamo di lui come soggetto » (p. 114).
Le posizioni del Breve trattato vengono confermate in La filosofia morale nei capitoli dedicati a Hegel. Muovendo ad Hegel la critica di aver ignorato il mistero della soggettività della persona, Maritain afferma che la soggettività individuale «è un abisso sostanziale che, ben lungi dal definirsi mediante la coscienza di sé, sfida la coscienza di sé, perché è per la coscienza una notte che diventa sempre più profonda man mano che essa vi si immerge» (p. 185). In effetti l’esperienza che ho di me stesso è fenomenica: esperienza di atti, di stati d’animo, di sentimenti che emanano da me stesso, dal mio centro più profondo, ma che non sono identici a me stesso. Al di là della conoscenza di me mediante i miei atti e gli eventi fenomenici, la persona cerca di accedere ad una conoscenza più sostanziale del proprio io, cerca di raggiungere la radice dell’anima, là dove si legano e si fondono in unità tutte le facoltà, là dove vive l’io sostanziale. Discendere a questo livello è arduo, perché la notte si fa più spessa man mano si progredisce.
Attraverso una delicata analisi filosofica, Maritain ha in più riprese cercato di delineare la struttura dell’anima e delle operazioni spirituali dell’intelletto, sviluppando verso nuove direzioni la dottrina dell’intelletto agente, chiamato con opportuna scelta semantica «intelletto illuminatore». Su tale base egli ha proposto la feconda prospettiva dell’attività preconscia dello spirito o dell’intelletto: «È necessario riconoscere l’esistenza di un inconscio o piuttosto di un preconscio spirituale, che Platone e gli antichi non ignoravano, ed il cui misconoscimento a profitto del solo inconscio freudiano è un segno della pesantezza di spirito della nostra epoca»[19].
6. Persona e libertà. Sulla questione della libertà il pensatore francese ha sviluppato una filosofia di grande ricchezza, rimasta ignota: l’indagine dell’autore sulla persona perde la metà del suo peso se viene separata dalla sua concezione della libertà. Qui non possiamo che avanzare pochi cenni. La nozione di persona comporta, già lo sappiamo, i caratteri della totalità e della sussistenza: la persona è un tutto che sussiste in modo indipendente, il che significa che non segue soltanto le inclinazioni della natura, ma si rende principio delle proprie operazioni. Il carattere dell’indipendenza, ossia di essere sibi providens e di valere come sorgente del proprio agire, presuppone nella persona il libero arbitrio, dono di natura che l’uomo possiede per il fatto stesso di essere uomo, ma che deve essere sviluppato e messo a frutto.
In effetti, la libertà di scelta è solo un primo passo verso la conquista della libertà terminale di indipendenza (o di spontaneità, o di fioritura, o di esultazione; tali sono infatti i vari modi con cui Maritain la designa): «in ciascuno di noi la personalità e la libertà di indipendenza concrescono insieme»[20]. La lunga lotta dell’uomo per conquistare la sua personalità è insieme impegno per accedere al possesso ed all’esercizio della libertà di indipendenza. Sebbene l’uomo sia uno spirito sottoposto ad una condizione carnale, sussistono in lui in modo indistruttibile le aspirazioni profonde della personalità, che secondo Maritain sono di due tipi, a seconda che provengano dalla persona umana in quanto umana, oppure dalla persona umana in quanto persona. Nel primo caso tali aspirazioni vengono denominate «aspirazioni connaturali», nel secondo «transnaturali», in quanto appartengono alla personalità come perfezione trascendentale, che ha il suo vertice infinito in Dio[21]. «Le aspirazioni connaturali tendono ad una libertà relativa e compatibile con le condizioni di quaggiù […]. Le aspirazioni transnaturali della persona in noi tendono ad una libertà sovrumana, alla libertà pura e semplice», che conviene solo a Dio[22].
Sotto il primo profilo l’uomo tende a liberarsi dalle costrizioni e dalle servitù della natura materiale; e la vita sociale è indirizzata a raggiungere questo fine almeno in parte. Sotto il profilo delle aspirazioni transnaturali la persona umana aspira ad un’autonomia e ad una autosufficienza perfette, che la spingono a somigliare a Dio e a stabilirsi in una condizione divina, nella condizione di aseità, ossia di non esistere ab alio sed a se. Entrambe queste aspirazioni subiscono, seppure diversamente, una sconfitta: la persona umana è sottoposta alle servitù della sua natura materiale (bisogni, ereditarietà, istinti, ecc.); ed è sottoposta a realtà diverse da lei, leggi che essa non ha fatto e oggetti che specificano la sua conoscenza. Ne segue che «l’uomo non ha alcun diritto alla libertà propria di Dio […]. La trascendenza divina obbliga così, fin dall’inizio, ad ammettere una profonda disfatta di queste aspirazioni metafisiche della persona in noi» [23].
L’uomo non possiede interamente la personalità: è obbligato a conquistarla, perché essa è come una «radice metafisica» sepolta nel suo essere, che deve fruttificare. Conquistando la propria personalità, l’uomo conquista la libertà terminale di spontaneità e di esultazione. In tale sentiero di ascesa la persona umana cerca di porre rimedio alla duplice sconfitta delle sue aspirazioni, cercando di soddisfare le aspirazioni connaturali mediante l’opera sociale della civilizzazione e della cultura, che dona una certa misura di libertà di autonomia. Quanto alle aspirazioni transnaturali, destinate di per sé alla disfatta, esse possono realizzarsi nell’ordine intenzionale se l’uomo riceve, e fa proprio nell’amore, il dono che Dio fa di sé stesso alla persona umana: la vita della grazia donata da Dio in Cristo conduce la persona umana verso la perfezione dell’amore, dove essa è con Dio un solo spirito in due nature, e dove raggiunge la pienezza della libertà di autonomia e di esultazione.
La conquista della libertà è perciò l’energia dinamica che muove la vita sociale e quella spirituale. Conquista che può essere intesa falsamente, se si fonda su una filosofia univocista e immanentista, per la quale le nozioni di libertà e di indipendenza non ammettono gradi: la libertà di autonomia sarebbe reale se il soggetto da solo ponesse a sé stesso le regole che intende seguire. Oppure può essere intesa in modo autentico secondo una filosofia dell’analogia dell’essere e della trascendenza divina, che sa che la libertà di indipendenza si realizza in misura somma solo in Dio, mentre nell’uomo consiste nell’interiorizzare con la conoscenza e con l’amore la legge a cui si obbedisce[24].
La filosofia della libertà di Maritain, scandita dalla dialettica tra il polo della libertà iniziale (il libero arbitrio) e il polo della libertà terminale, è il criterio che guida lo svolgimento della sua filosofia sociale e politica: «La società civile è essenzialmente ordinata non alla libertà di scelta di ciascuno, ma a un bene .comune temporale che è la retta vita terrestre della moltitudine e che non è soltanto materiale, ma anche morale; e questo bene comune stesso è indirettamente e intrinsecamente subordinato al bene intemporale della persona e alla conquista della sua libertà di autonomia»[25]. La vita politica non ha come compito di portare la persona umana a una piena libertà terminale e alla perfezione spirituale; tuttavia deve aiutarla in tale cammino, volgendo la società verso la conquista di un vero bene comune materiale, intellettuale e morale, favorendo l’emergenza concreta della persona.
Maritain non riassorbe la persona nell’universale, non ne fa un momento di un astratto processo dialettico; non viene a patti con il dolore e la sofferenza, interpretati come momenti necessari del progresso, non ritiene che la persona debba dissolversi nella comunità etica dello Stato, per cui solo nello Stato gli uomini raggiungerebbero la loro piena identità di uomini, e senza lo Stato sarebbero pura moltitudine numerica senza valore. Un brano dice al riguardo l’essenziale del suo pensiero, e la sua critica al filone statolatrico e totalitario della filosofia politica moderna: «Hegel ha respinto la verità fondamentale della filosofia politica, e cioè che il corpo politico (perniciosamente da lui confuso con lo Stato) è un Tutto fatto di parti che sono a loro volta dei tutti, un Tutto m composto di tutti. Il suo Stato è un Tutto le cui parti non sono che delle pure parti, cioè, non sono persone e non acquisiscono personalità se non in quanto sono e si vogliono integrate nel Se sopraindividuale dello Stato»[26]. La critica tocca anche l’attualismo di Gentile.
7. L’universo dell’io, la legge della presa di coscienza e la filosofia della storia. La progressiva presa di coscienza dell’universo della soggettività e della persona lungo l’età moderna è un tema sul quale Maritain è tornato a più riprese, dapprima con accenti polemici, successivamente con tono più irenico e positivo. Nella prima fase l’avvento dell’io è più caduta che crescita (vedi in specie “Lutero o l’avvento dell’io” in Tre riformatori, 1925). Ma in Religione e cultura (1930), Scienza e sapienza (1934) e in Umanesimo integrale (1936) alla valutazione problematica di vari aspetti del moderno, si affianca una diversa linea di giudizio secondo cui nell’epoca moderna si è verificata la scoperta pratica della dignità e del valore dell’universo dell’umano: «Sono stati così realizzati molti progressi, concernenti anzitutto il mondo della riflessività e la presa di coscienza di sé, che scoprono, talora attraverso umili porte, alla scienza, all’arte, alla poesia, alle stesse passioni dell’uomo e ai suoi vizi la spiritualità che è loro propria»[27]. Maritain nota tuttavia che questo processo, di per sé normale, si è svolto guidato da un atteggiamento antropocentrico e materialistico: l’uomo ha creduto spesso di esercitare da solo, senza Dio, l’iniziativa prima e unica nella linea del bene.
Guardando poi verso l’umanesimo teocentrico, categoria-sintesi che in Maritain comporta il disegno di un’intera riforma di civiltà, esso può realizzarsi se si verifica «un progresso nella coscienza che la creatura ha di sé stessa, e insieme del mistero della croce che si compie in lei» [28]. Il cammino non sarà vissuto in modo «ingenuo», come accadeva nel Medioevo quando il rapporto dell’uomo con sé stesso e con Dio era irriflesso e spontaneo; sarà invece esperito in modo «riflessivo», anche perché l’uomo dovrà riconquistare la perduta unità riprendendosi in mano nella luce della grazia. «Lo sguardo del cristiano non sarà più come distolto — ciò che accadeva nel medioevo — dal mistero della sua natura creata e del suo fondo irrazionale; scruterà questo mistero, ma con un modo di introspezione diverso da quello del moderno naturalismo»[29]. L’uomo acquisirà una evangelica coscienza di sé, che si conosce senza cercarsi. In Per una filosofia della storia l’indagine torna sulla legge della presa di coscienza, considerata una delle fondamentali leggi funzionali della storia, presenti in ciascuna fase del suo sviluppo: «Io ritengo che questa legge della progressiva presa di coscienza sia legata alla storia della civiltà in generale, ma che vi si manifesti con una singolare lentezza»[30]. Essa si applica nei campi più svariati: l’autore adduce l’esempio della dottrina della conoscenza, divenuta per i moderni una disciplina filosofica speciale. I grandi filosofi antichi possedevano una teoria della conoscenza, che però prima di Kant non veniva sviluppata come disciplina a sé, che riflette sul proprio fondamento. Qualcosa di analogo si è prodotto nei domini della spiritualità e della creazione artistica; la spiritualità moderna, a partire da santa Teresa d’Avila e da san Giovanni della Croce, ha scandagliato la persona e i suoi stati spirituali nel loro rapporto con Dio, di modo che il movimento verso il divino avviene in una maggiore consapevolezza del proprio mondo interiore.
8. Commiato. La filosofia della persona di Maritain si muove in senso opposto alla «disontologizzazione» del soggetto umano, promossa da varie correnti filosofiche e psicologiche contemporanee che finiscono per dissolvere la persona in elementi empirici e comportamentali. Il personalismo maritainiano non si accontenta di descrivere lo svolgersi della vita della persona nelle sue varie manifestazioni (impegno, distacco, presenza, comunicazione, ecc.), ma, oltrepassando il pur necessario livello dell’azione, raggiunge il livello dell’essere. In tal modo la lezione di Maritain approfondisce e arricchisce le posizioni dell’Aquinate e il suo personalismo ante litteram. Questo, trasparente in affermazioni quali «substantiae intellectuales gubernantur propter se, alia vero propter ipsas. […]. Sola igitur intellectualis natura est propter se quaesita in universo, alia autem propter ipsam»[31], non veniva però esplorato nelle sue varie dimensioni: l’autoconsapevolezza della cultura di quel tempo non era ancora pervenuta a interrogare a fondo l’universo del soggetto.
Secondo S. Mosso: «La ricerca sulla persona umana occupa un posto centrale in Maritain. Egli non ha un trattato specifico su di essa, ma la visione della persona sta alla base un po’ di tutta la sua Opera, che nel complesso si qualifica come umanesimo»[32]. Il Principio-Persona rappresenta perciò un asse fondamentale del pensiero speculativo e pratico dell’autore. Come «distinguere per unire» è il motto del suo programma epistemologico; come l’intuizione intellettuale dell’essere è il centro della sua visione metafisica; così la sua ontologia della persona e della soggettività rappresenta un’importante figura costruttiva del suo pensiero. La persona è in certo modo inserita nell’ambito della filosofia prima, suggerendo che il ricorso esclusivo all’ermeneutica non appare sufficiente: l’ermeneutica non potrebbe perciò elevarsi allo status di filosofia prima. Opportuna ci sembra l’avvertenza che si danno due tipi di personalismo: il primo fa della persona (umana) il centro sostanziale di riferimento di tutta la filosofia. Il secondo, pur concedendo il più ampio rilievo alla persona e a tutte le sue manifestazioni, non fa dell’intuizione della persona il punto di partenza (e di arrivo) della filosofia, ma saggia l’universo della persona con categorie metafisiche e inscrive l’ontologia della persona nel quadro di una generale dottrina dell’essere e dell’ente. Il personalismo di Maritain ci sembra appartenere al secondo tipo.
Può tale istanza aprire un dialogo con le scienze umane attuali, perlopiù abitate da naturalismo e materialismo, fortemente critiche verso l’idea di persona e subordinate al postulato postmetafisico? Il filosofo francese ha concluso la sua riflessione sulla persona quando albeggiavano e nascevano le scienze umane della “morte dell’uomo” e del postumanesimo. Ha posto però le necessarie premesse filosofiche perché la scienza politica, la pedagogia, la psicologia, la sociologia, ecc., potessero rimanere ancorate a una filosofia dell’uomo, e non soltanto alla pur necessaria base empirica analiticamente rilevata, e non cedessero allo scientismo secondo cui solo la scienza conosce.
Vittorio Possenti
[1] Cfr. J. Maritain, Il contadino della Garonna, Morcelliana, Brescia 1969, p. 83.
[2] J, Maritain, La filosofia morale, Morcelliana, Brescia 1999, p. 183. L’imperfetto «era» vuol significare il riferimento alla dottrina della persona, prima della svolta operata da Hegel, secondo cui l’uomo è autentico solo se diviene momento transeunte dell’universale.
[3] Cfr. J. Maritain, I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 2013, p. 273.
[4] J. Maritain, La filosofia morale, cit., p. 184 (trad. ritoccata)
[5] J. Maritain, I gradi del sapere, cit., p. 274. E nella stessa pagina: «Affinché l’esistenza che la natura [qui “natura», sta per “essenza”] riceve sia la sua esistenza e la attui come tale da appartenerle in proprio e senza poterne attuare un’altra nello stesso tempo, è necessario, quindi, che la natura stessa preliminarmente riceva un’altra sorta di compimento o di terminazione, un modo metafisico grazie al quale essa fa fronte all’esistenza come un tutto chiuso, come un soggetto che si appropria l’atto di esistenza che riceve. E ciò è, appunto, quella sussistenza […] [che] è per la natura il suggello ontologico della sua unità. Se questa natura appartiene all’ordine spirituale, allora la sussistenza di una tal natura si chiama personalità».
[7] La filosofia morale, cit., p. 186.
[8] Per il significato attribuito da Maritain alle categorie di individualità e di personalità, vedi il volumetto La persona e il bene comune (Morcelliana, Brescia 1963). Esse hanno innescato un dibattito sul quale rimando al mio Una filosofia per la transizione. Metafisica, Persona e Politica in J. Maritain, Massimo, Milano 1984, pp. 85-89. Secondo A. Rigobello: «La distinzione individuo-persona è il punto cardine del personalismo maritainiano», «Il «personalismo” di Jacques Maritain e di Emmanuel Mounier», in AA.VV„ Jacques Maritain, a cura di A. Pavan, Morcelliana, Brescia 1967, p. 58.
[10] La persona e il bene comune, cit., p. 29.
[11] Ibid., p. 23.
[12] Analoghe espressioni nel Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, Morcelliana, Brescia 2014, p. 112s.
[13] J. Maritain, Alla ricerca di Dio, Ed. Paoline, Roma 1960, p. 92.
[14]J. Maritain, La persona.., cit., p. 10.
[15] Ibid., pp. 13 e 14.
[16] Cfr. J. Maritain, Breve trattato, cit., pp. 45-78, dove è anche messa in chiara luce la funzione esistenziale del giudizio, che fa passare pensiero dal piano della pura essenza, o dell’oggetto presentato alla mente, al piano della cosa che possiede l’esistenza.
[17] Ibid., p. 93.
[18] Ibid., p. 100.
[19] L’intuition créatrice dans l’art et dans la poésie, Desclée De Brouwer, Paris 1966, p, 84. Sulla questione del preconscio spirituale, si veda la nota 12 del cap. III.
[20] Per una politica più umana, Morcelliana, Brescia 1968, p. 13. Nel senso appena indicato la libertà di autonomia maritainiana si allontana assai dall’autolegislazione kantiana.
[21] Su questi nuclei cfr. anche Da Bergson a Tommaso d’Aquino, Vita e Pensiero, Milano 1980
[22] J. Maritain, Per una politica più umana, cit., p. 14.
[23] Ibid., p. 14.
[24] La libertà connaturale di indipendenza della persona umana «non consiste nel non ricevere alcuna regola o misura oggettiva da alcun altro essere che non sia essa stessa, ma consiste nel conformarvisi volontariamente, perché le si sa giuste e vere e perché si amano la verità e 1a giustizia» (Per una politica più umana, cit., p. 16).
[25] Strutture politiche e libertà, Morcelliana, Brescia 1968, p. 37.
[26] La filosofia morale, cit., p. 206.
[27] Umanesimo integrale, Borla, Torino 1963, p. 80.
[28] Ibid., p. 120.
[29] Ibid., p. 122.
[30] J. Maritain, Per una filosofia della storia, Morcelliana, Brescia 1967, p. 59.
[31] Contra Gentiles, III, 112.
[32] S. Mosso, Fede, storia e morale. Saggio sulla filosofia morale di Jacques Maritain, Massimo, Milano 1979, p. 130.