Parlare apertamente di conflitto tra medici e cittadini, come fa Ivan Cavicchi, vuol dire toccare il nodo alla base della crisi della medicina dei nostri giorni. Cavicchi avverte che non sarà né un tribunale né una commissione a risolvere il conflitto. E, aggiungo, nemmeno la buona volontà. Un conflitto così radicale non sembra risolvibile, per i molti motivi che egli analizza.
Se, inoltre, allarghiamo ancora un po’ il contesto, potremmo persino prefigurare che i contendenti soccomberanno dato che il conflitto li trascende e li travalica. Il conflitto è parte integrante della crisi dei sistemi sanitari dei paesi occidentali, come l’Inghilterra e l’Italia che avevano scelto il sistema universalistico, una delle più avanzate conquiste delle società democratiche. Il non riconoscimento del “nemico” comune (per rimanere nella metafora guerriera) è la prima garanzia della non risolvibilità del conflitto medesimo. Chi ha aizzato la lite? Dove si trovano le ragioni? C‘è un terzo litigante che gode?
Il medico ha subito una grande trasformazione nel suo saper essere e nel suo saper fare, crisi tanto profonda da essere ontologica. Che si spiega con due determinanti (oltre a quelli analizzati da Cavicchi).
Uno è il processo di aziendalizzazione dei sistemi sanitari, l’altro è quello dell’egemonia culturale dell’industria della salute nella scienza medica.
I due processi si sviluppano e si intersecano sinergicamente in una potenza fattuale che non ammette alternative, preclude critiche e autocritiche. Configurano un marchingegno da moto perpetuo autogiustificantesi e autoperpetuantesi, secondo il modello dello sviluppo illimitato (modello smentito dalla natura e dalla scienza).
Il medico necessario all’Azienda è solo uno step del complesso ingranaggio aziendale finalizzato a produrre prestazioni e non salute. Ogni prestazione nei vari tariffari o nomenclatori ha un prezzo, ogni prestazione ha il rango del suo prezzo. il prezzo di una visita medica è di poche decine di euro a fronte di molte centinaia o migliaia di euro di altre prestazioni. Il tempo riconosciuto per erogare una visita medica è trenta minuti per una prima visita, venti minuti per una visita di controllo. Durante una visita il paziente e il medico e si incontrano, si conoscono, l’uno presenta una domanda di salute, l’altro ascolta, nel frattempo si interroga, analizza, indaga, approfondisce, via via formula ipotesi, ne abbandona alcune, ne formula altre, chiede riscontri, decide se necessita di altre indagini. Questo incontro è intriso di significati: conoscenza, scienza, responsabilità, umanità, sentimenti, vissuto, costo sociale.
La Sanità Azienda ha forgiato il medico-prestazione. Molto diverso dal medico delineato dal SSN della 833, consustanziato allo sviluppo della missione del SSN, premessa all’articolo uno della legge istitutiva del Sevizi o Sanitario “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana”. L’aziendalizzazione e tutte le successive controriforme hanno annullato tutto ciò.
L’altro determinante della metamorfosi ontologica del medico è da cercare certamente nel ruolo egemonico delI’Industria della Salute nel suo complesso, di cui Big Pharma è solo una componente.
Questo tema, benché scontato e assunto sia dai medici che dal pubblico, per il peso e l’influenza nella configurazione dei Sistemi Sanitari, nella concezione di salute e malattia, nella produzione della domanda e dell’offerta dei bisogni sanitari, viene escluso dalla riflessione pubblica per la pregiudiziale derubricazione a complottismo. Queste tematiche sono invece presenti al dibattito scientifico internazionale; così come, a scienziati, ricercatori e medici è esplicita la consapevolezza della loro portata epistemologica.
La strategia di marketing dell’industria della salute si è consolidata sempre più fino a conquistare i luoghi dove si elabora il pensiero, la scienza, l’ideologia per il governo della salute e delle malattie. La spinta ad offrire il prodotto, e quindi la terapia, ha la forza di sovvertire la corretta metodologia di indagine, la gerarchia di diagnosi prognosi e terapia. La “medicina terapeutica” travolge i confini disciplinari, e quelli tra malattia d’organo, complicanza e malattia primaria. E quindi, la gerarchia di causalità, causa primaria secondaria terziaria. Concetti e metodi, ostativi all’ampliamento del mercato che cresce sulla medicina terapeutica. Meglio parlare di fattori di rischio, per tutti. L’ipertensione, il diabete, dal rango di malattia scendono al più basso di fattori di rischio per la malattia cardiovascolare- a sua volta complicanza ma, le malattie cardiovascolari costituiscono il mercato più largo in assoluto.
I fattori di rischio sono più facilmente individuabili con parametri numerici. Numeri sopra i quali scatta l’imperativo terapeutico. Le linee guida sono il sigillo di garanzia della consonanza tra scienza e mercato della salute. Il luogo di verifica di un conflitto di interesse tanto forte da essere palesato, quale foglia di fico, a premessa da ogni estensore delle varie linee guida come lungo elenco delle aziende con cui ha intessuto rapporti finanziari. Le linee guida dovrebbero essere utilissima guida scientifica all’operato del medico ma hanno, di fatto, la doppia valenza di cogenza prescrittiva e di guida che- si dice ipocritamente- non si sostituisce al giudizio ponderato e autonomo del medico per ogni singolo caso (peccato che in una contesa giudiziaria il medico che non avesse osservato le linee guida si troverebbe in maggior sfavore).
Il medico, dunque, è oggi prigioniero tra gli ingranaggi autoritari delle Aziende Sanitarie, le prescrizioni scientifiche insindacabili elaborate in centri sovranazionali, il discredito sociale, le pessime condizioni di lavoro, privato di autonomia intellettuale, non legittimato perciò ad agire in scienza e coscienza, sino alla dimensione estrema di lettore di codice a barre. “Se questo è un medico!”
Senza contare che sul medico incombe, come altra minaccia esistenziale l’Intelligenza artificiale.
No, non può essere un tribunale a dirimere la “questione medica”.
Abbiamo bisogno di costruire una “teoria critica del divenire della medicina” (Cit: Padre Carlo Casalone), in cui sia fulcro l’assunto che per ogni medico, il motore del suo agire è la chiamata. Questa può essere fortissima o no, tradita persino, ma è la molla presente in ogni medico, insieme con la consapevolezza di essere sulla frontiera più intrigante e impegnativa, la frontiera tra scienza e umanesimo, dove non c’è intelligenza artificiale che tenga.
Il medico che risponde “alla chiamata”, è la risorsa sociale più preziosa e imprescindibile per una Sanità-bene -comune, che va protetto dentro e fuori dai tribunali.
Tiziana Sampietro
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