Nel presentare la proposta di riforma costituzionale, con l’introduzione della elezione diretta del Presidente del Consiglio, la presidente Meloni ha usato espressioni quali: “la madre di tutte le riforme… essa garantisce due obiettivi che dall’inizio ci siamo impegnati a realizzare: il diritto cittadini a decidere da chi farsi governare, mettendo fine a ribaltoni, giochi di palazzo e governi tecnici” (Ansa del 3.11.23).
Alla luce di ciò si ha la forte impressione che la proposta di riforma costituzionale nasce più da un generale spirito di assalto all’impianto costituzionale che dalla volontà di riformare la Costituzione per facilitare l’attuazione dei suoi principi fondanti. Dello spirito e della capacità dei Costituenti si è conservato ben poco: si pensi ai Padri Costituenti quali Calamandrei, La Pira, Moro, Togliatti e via dicendo. Gli attuali politici in scena, di questi Padri, hanno ben poco o quasi niente, in termini di libertà, maturità ed eticità personali, competenze e dedizione al bene comune.
L’attuale maggioranza, eticamente non legittimata (vedi interventi della Corte Costituzionale sulla inaccettabilità della vigente legge elettorale) ora cerca di imporre una riforma a colpi di maggioranza. Inoltre non è stata favorita una partecipazione e discussione delle varie componenti sociali. Una riforma, come scriveva Sturzo, è vera solo se parte “dal basso come consenso, lotta, dinamismo e scende dall’alto come attuazione; dall’intimo come tendenza spirituale espressa e sintetizzata; da tradursi e adottarsi nel contingente dell’azione politica direttiva”.
Seguendo Voegelin si può dire che i vari populisti italiani (Grillo, Renzi, Berlusconi, Meloni e diversi altri), pur nella diversità di storie, formazione, sensibilità e collocazione politica, sono accomunati da alcune caratteristiche: 1. l’insoddisfazione per lo statu quo e per tutta la storia precedente; 2. la convinzione che le difficoltà presenti si devono attribuire alla struttura intrinsecamente deficiente di questo mondo, su cui solo altri hanno responsabilità e non chi parla; 3. la convinzione che è possibile salvarsi dal male di questo mondo purché ci si affidi totalmente al nuovo capo o premier che dir si voglia; 4. l’emergere, nel processo storico, di un mondo buono da uno cattivo, da realizzare basandosi su promesse vane e nessuna visione strategica; 5. il richiamo costante a un “popolo” (gli italiani che hanno eletto l’attuale maggioranza) generalmente preso, ma mai individuato nelle sue forme istituzionali di rappresentanza; 6. il dovere del politico di cercare le soluzioni per determinare tale mutamento, in genere senza rispetto delle regole costituzionali e delle prassi politiche e istituzionali vigenti.