L’ Italia – come sosteneva Giancarlo Infante nella sua nota di ieri mattina (CLICCA QUI) – “ha bisogno di restare nel cuore decisionale dell’ Europa”.

A cose fatte – dopo il voto contrario ad Ursula Von den Leyen dei 24 europarlamentari di Fratelli d’ Italia – sorge il sospetto ed il timore di dover dire; “…..avrebbe avuto bisogno….”.

Giorgia Meloni ha sbagliato ed è incredibile a ben rifletterci. Abbiamo sperato sinceramente che decidesse diversamente, accostandosi, sia pure senza essere, almeno in questa fase, determinante, alla solida maggioranza politica formata e confermata nel Parlamento di Strasburgo. Luogo di naturale e fisiologico approdo per un Paese dalla forte, storicamente puntuale vocazione europeista come l’Italia.

Giorgia Meloni, al contrario, ha buttato alle ortiche la splendida occasione di comportarsi da “statista” e non ci resta che prendere atto come, evidentemente, un tale livello di ispirazione e di guida di una politica preveggente e di alto livello sia per lei inaccessibile.

La paladina della “nazione” doveva scegliere se assumere con franchezza la leadership dell’Italia, Paese fondatore dell’Europa, o piuttosto il ruolo-guida di una delle destre europee, pur sempre, se non francamente euro-scettica come storicamente è stata, incerta e titubante, preoccupata di non lacerare oltre misura i rapporti con l’altra destra oltranzista e sovranista, nonché filo-putiniana.

L’assunto – simmetricamente, sull’altro versante, lo coltivo’ a lungo il PCI – di non poter tollerare nemici a destra, che sembra ispirare Giorgia Meloni, restringe lo spazio politico virtuale a sua disposizione, la allontana da una effettiva funzione di leadership o, almeno, la confina in un predefinito arco di possibili interlocutori, ma soprattutto la espone al pericolo di essere insidiata da frange estreme del suo stesso movimento che non può controllare.

Come, ancora Giancarlo Infante ricorda in conclusione della sua nota di cui sopra, non è vero che in Europa si decide di volta in volta, per cui il peso della maggioranza è relativo e si può entrarvi oppure uscirne con la stessa nonchalance con cui si va dentro e fuori la porta girevole della hall di un albergo. Lo dicono taluni esponenti di FdI che probabilmente si rendono conto di doverci mettere almeno una pezza.

Quando si governa un grande Paese, importante come il nostro, portatore di una ricchezza culturale e civile straordinaria, protagonista di una vicenda politica rilevante, uno statista ne assume sulle spalle l’intera storia, a costo di svestirsi della propria postura politica contingente.

Giorgia Meloni non ce l’ha fatta ed ha votato contro la maggioranza che, per quanto sia stata diffidente e scostante nei suoi confronti, rappresenta la coalizione di forze che reggono il processo di unificazione europea.

Senonché Meloni si o Meloni no, non si fa l’Europa – come ha giustamente ammonito il Presidente della Repubblica – senza l’Italia che merita comunque, perfino a dispetto del suo governo, il riconoscimento di un importante ruolo nella Commissione. Ed indubbiamente il prestigio dell’Italia consentirà a Giorgia Meloni, come le auguriamo sinceramente, di conseguire questo risultato comunque importante.

Domenico Galbiati

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