Il discorso di Giorgia Meloni va valutato senza sconti, ma anche senza pregiudizi. Se si volesse farne un commento assolutamente sintetico che, per quanto del tutto parziale, possa indicarne una prima cifra, verrebbe da dire così, pur scontando una certa interpretazione di parte: “Benvenuta destra, nell’alveo della Repubblica democratica e costituzionale”.
Una destra comunque incardinata in una tradizione politica che, attraverso il MSI risale al fascismo, per forza di cose – come, in un altro momento, ha dovuto fare una sinistra che vantava ascendenze addirittura staliniste – è tenuta a tributare, di necessità, un omaggio obbligato ai valori morali, politici ed istituzionali fondativi della Repubblica e della sua Legge Fondamentale, nata dall’antifascismo e dalla lotta di resistenza.
La vittoria della destra è oggi un fatto storicamente del tutto nuovo, eppure si inscrive nel percorso pluridecennale della democrazia italiana ed anch’essa è stata resa possibile da quel processò la di radicale revisione delle loro originarie posizioni che ambedue le estreme hanno dovuto affrontare poste di fronte alla bandiera della libertà e della democrazia che il nostro ordinamento non ha mai ammainato, tanto meno nella drammatica stagione della violenza degli opposti estremismi che hanno insanguinato l’Italia.
Il valore intangibile della libertà che la Costituzione incardina nelle forme della democrazia parlamentare e rappresentativa; il rifiuto di ogni forma di totalitarismo, compreso quello fascista; il ripudio delle leggi razziali “vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre”; l’assenso a quella scelta europea ed atlantica che, assunta nella temperie drammatica del dopoguerra grazie ad una classe dirigente ferma e coraggiosa, disegna tuttora la nostra collocazione internazionale; il riconoscimento del valore delle autonomie nel quadro dell’unità
nazionale; l’apprezzamento dei corpi intermedi e del Terzo Settore come strutture essenziali di una società civile protagonista della nostra vita democratica: sono attestazioni che si evincono dal discorso di Meloni e lo collocano nell’alveo democratico e costituzionale della Repubblica. O almeno così speriamo possa essere confermato dai fatti. Non c’è’ ragione di non crederle, anche laddove esprime posizioni che contraddicono suoi precedenti convincimenti.
Una seconda cifra merita fin d’ora d’ essere rilevata da un discorso fortemente identitario. Giorgia Meloni ha presentato il suo governo, ma ha anche – forse soprattutto – mostrato come la destra si proponga di andare oltre ed abbia l’ambizione di guadagnare quell’ egemonia culturale che una volta apparteneva alla sinistra. Viviamo in un contesto civile squassato dal vento di cambiamenti epocali, in parte avviati, per lo più attesi ed incombenti, a tratti minacciosi, cosicché non siamo in grado di definire il nostro tempo se non timidamente chiamandolo “post-moderno”, il che significa poco o nulla.
Abbiamo bisogno di leggere tra le righe gli sviluppi in corso, mettere a punto criteri, categorie di giudizio, modelli interpretativi che funzionino, si potrebbe dire, come un GPS che ci consenta di localizzare la stagione che stiamo vivendo su quell’ideale cammino che l’umanità percorre nel suo incessante processo evolutivo. Ovviamente, tutto questo avviene su uno scacchiere europeo ed internazionale che va ben oltre i nostri confini e, non a caso, concerne posture nazional-sovraniste che si affermano in più Paesi.
La sinistra è esausta e vuota, incapace di concepire una qualunque strategia politica, in quanto del tutto priva di un impianto culturale che le offra un indirizzo e la sostenga. Lasciamo, dunque, che sia la destra a farsi carico di questa faticosa ricerca, finendo per imprimere il proprio passo alla lunga marcia verso la nuova stagione che intravediamo davanti a noi, sia pure ancora avvolta da cortine nebbiose da diradare? Ed il mondo cattolico cos’ha da dire in proposito?
Si apre adesso una fase di grande interesse nella misura in cui i nodi politico-programmatici che via via attraverseremo, rinvieranno, un passo dopo l’altro, ad una riflessione di ordine culturale e di più ampia prospettiva che, al di là del governare quotidiano, rappresenterà il vero terreno di confronto e di scontro tra culture politiche e visioni differenti del nostro futuro.
Domenico Galbiati