L’Italia è uno dei pochi paesi che il MES, il cosiddetto Fondo salvastati , non l’ha ancora ratificato. E le cui autorità – neppure in prossimità della scadenza del 30 giugno – non lasciano neanche intuire che cosa finiranno per fare. Il risultato è che Giorgia Meloni è stata costretta a rinviare la riunione del Consiglio dei Ministri, con una motivazione ufficiale che ne indica la causa in non meglio precisate questioni personali. Cosa che, evidentemente, non è sindacabile, ma che non per questo manca di sollevare qualche quesito.
Roma come Atene ?
Il paradosso più significativo è rappresentato da quanto accaduto in sede di Commissione esteri della Camera dove –
udite! udite! – la ratifica dell’intesa di modifica del Trattato istitutivo del MES è stata approvata con i solo voti delle opposizioni. Astenuti i deputati del Movimento 5 stelle e di Alleanza verdi e sinistra. Assenti Governo e maggioranza. Per le forze che compongono la coalizione di governo certo non è stata una gran bella figura, Né il segno di una grande chiarezza di idee sulla direzione nella quale guidare il Paese.
Qualcuno prova a spiegare che il tutto potrebbe essere considerato come un ultimo ed estremo tentativo della Meloni di strappare all’Europa qualche concessione. Ma è facile notare che in termini di modifiche finora Bruxelles non è sembrata intenzionata a concedere alcunché, anche in cambio di un voltafaccia che porti l’Italia a ratificare il trattato. Ma a gettare un’ambigua ombra sulla vicenda non c’è solo questa riluttanza di Bruxelles a fare concessioni sia pure di mera facciata. C’è soprattutto l‘indiscutibile fatto – purtroppo non abbastanza fermamente ribadito da coloro che a questo accordo-capestro sono contrari – che il MES avrebbe come principale effetto quello di asfaltare per l’Italia la stessa tragica strada che fu imposta alla Grecia 12 anni fa, e di promettere a Roma un futuro assai simile al tragico presente di Atene. Prospettiva, questa, assai verosimile, cui la Meloni sembra giustamente non essere insensibile.
La porta è dunque piuttosto stretta per una Presidente del Consiglio che è sempre stata dichiaratamente contro il MES, ma che è al tempo stesso consapevole di quanto sia per lei inevitabile ratificarlo per tenersi buoni gran parte degli altri governi europei e degli interessi finanziari che li sostengono. E ciò anche se i di lei seguaci fremono, e non da oggi, di contrarietà. E ancora di più fremono i leghisti, il cui ministro del Tesoro Giorgetti, è però uno dei più attivi
sostenitori dell’opportunità di votare per la ratifica.
Il passato resta comunque innegabile: fatto di ininterrotta ostilità verso il MES. Al punto che non si volle neppure aprire la porta al cosiddetto “MES Sanità”, i cui vincoli erano meno impegnativi e che ci avrebbe consentito di attivare 36 miliardi di euro tutti destinati ad un settore cruciale per il paese a costi molto più bassi da quelli richiesti dal normale mercato finanziario.