L’accordo di Roma siglato il 6 novembre u.s. tra Italia e Albania per la “ esternalizzare” la gestione dei migranti può creare più problemi di quanti il governo vorrebbe risolvere. Si tratta di un accordo che dovrà essere tradotto in legge dall’Italia nel rispetto del diritto internazionale ed europeo delle migrazioni.
L’accordo prevede il trasferimento in Albania di migranti soccorsi nel Mediterraneo dalla navi italiane e Guardia Costiera (escluse quindi quelle delle ONG ) e collocati in due diverse strutture: una di adibita all’ingresso e all’identificazione, l’altra di accoglienza temporanea dove non potranno accedervi minori, donne in gravidanza e altri soggetti vulnerabili.
La Presidente del Consiglio ha dichiarato che le “… strutture potranno inizialmente accogliere fino a 3.000 persone, che rimarranno in questi centri per il tempo necessario a poter espletare celermente le procedure di trattamento delle domande di asilo e, eventualmente, per finalità di rimpatrio o ritorno. Una volta a regime, ci potrà essere un flusso annuale di 36-39.000 persone”.
Senonché la Commissione europea ha già acceso i fari sull’accordo in attesa di ricevere informazioni dettagliate. Il che consiglia prudenza nell’esprimere giudizi affrettati circa la legalità dell’accordo nonostante che il Governo, in tema di migrazioni, ci abbia abituato da tempo a doverci confrontare con provvedimenti più che discutibili.
Non sfugge però il rifiuto e comunque l’assenza di un progetto che promuova e attui, da una parte, giuste e realistiche politiche di accoglienza e integrazione e, dall’altra, le condizioni di sviluppo dei Paesi di provenienza degli immigrati. La speranza è che non si tratti di prove tecniche di applicazione del cosiddetto Piano Mattei.
La scelta di campo, dunque, è per una società aperta, accogliente e solidale. Orientata al pieno sviluppo dell’uomo e di tutti gli uomini. Se le società del futuro possono essere soltanto società aperte, multiculturali, multietniche, multirazziali, allora si deve percorrere la strada che conduce alla costruzione di un nuovo pluralismo dove culture differenti convivono e intrattengono relazioni di reciproco riconoscimento.
E’ un processo che dev’essere “governato”; ma con quale progettualità se manca equilibrio, conoscenza dei problemi e previsione delle grandi tendenze economiche, demografiche e politiche che caratterizzano lo sviluppo a scala mondiale come questo Governo ha ampiamente dimostrato?
Ci sono poi i diritti umani da tutelare con lo ius migrandi riconosciuto come diritto naturale universale; come si concilia la doverosa cura di un simile diritto con l’impossibilità di monitorare lo stato di detenzione delle persone rinchiuse in Albania, dove l’Italia non ha giurisdizione? E, per di più, c’è da considerare che il paese nostro dirimpettaio sull’Adriatico non fa neppure parte dell’Unione europea.
Prevale ancora una volta una concezione della politica migratoria dominata dall’ideologia della sicurezza nonostante che molti eventi ne mettano in dubbio l’efficacia, se non proprio anche la ragionevolezza.
E’ difficile comprendere come si possa ancora trattare il fenomeno con le logiche della “ sicurezza” quando i loro limiti sono emersi con tutta la loro dirompente dimensione nel corso degli ultimi trenta anni! Ma ancora più difficile è comprendere come non si voglia riconoscere come converrebbe accogliere, proteggere, promuovere ed integrare il migrante in una società che ne avrebbe urgente bisogno.
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